Palermo, "tradito dalla malavita e dallo Stato": lo sfogo del pentito

“Tradito dalla malavita e dallo Stato”: mafia, lo sfogo dell’ex pentito

L'omicidio di Giuseppe Di Giacomo
Le parole di Alfredo Geraci al processo per l'omicidio Di Giacomo

PALERMO – “Sono stato tradito dalla malavita e da chi mi doveva proteggere”, spiega in aula Alfredo Geraci. “Non ho nessuna intenzione di testimoniare”, aggiunge collegato in videoconferenza l’ormai ex pentito. C’è la revoca del programma di protezione, avvenuta due anni fa, all’origine del suo sfogo.

Il processo è quello per l’omicidio di Giuseppe Di Giacomo, assassinato alla Zisa nel 2014. Unico imputato è Onofrio Lipari. Geraci nelle scorse settimane era stato citato dal pubblico ministero Gaspare Spedale.

Lo sfogo del pentito: “Non voglio protezione”

Il presidente della Corte di assise Antonio Terranova gli ricorda che ha l’obbligo di dire la verità, Geraci replica: “No, io ho l’obbligo di garantire la protezione ai miei figli, e non lo sto facendo (di non rispondere ndr) perché voglio protezione dallo Stato perché io non ne voglio, io non faccio nessuna dichiarazione mi assumo le mie responsabilità di tutto quello che voi decidete… non ho più protezione, non ho nulla, non la voglio, io non ho paura di niente e di nessuno io sono stato tradito dalla malavita e da quella cerchia di procuratori che mi dovevano garantire la vita e la salute mia e dei miei figli… mi hanno trascinato di più dall’inferno in cui vivevo”.

Perché è un ex collaboratore

Geraci, affiliato al mandamento di Porta Nuova, è stato espulso dal programma di protezione. Resta sotto tutela per ragioni di sicurezza in una località segreta, ma non gode più dei benefici previsti per chi collabora. Due anni e mezzo lo sorpresero a parlare con Giovanni Rao, accusato di avere spacciato droga a Ballarò. A scovare le conversazioni erano stati gli avvocati Giovanni Castronovo e Raffaele Bonsignore, che assistono lo zio e omonimo di Rao, condannato con sentenza definitiva per l‘estorsione ai danni dello chef Natale Giunta.

I due legali ottennero la revisione del processo proprio sulla base delle conversazioni in cui Geraci scagionava Giovanni Rao, ribadendo che nulla aveva a che fare con l’estorsione di cui sono stati gudicati colpevoli altri imputati. Nelle conversazioni Geraci discuteva delle sue dichiarazioni, quelle già rese e altre da rendere in futuro. In alcuni passaggi sembrava confermare di aver nascosto particolari agli investigatori.

“Lasciatemi in pace”

“Oggi non sono né con la giustizia né con la malavita – spiega in aula al processo per l’omicidio Di Giacomo – io mi ritengo di fare parte della categoria dei lavoratori quindi voglio essere lasciato in pace e gentilmente voglio vivere la mia vita serena, sto scontando la mia pena e la sconto a testa alta basta. E mi dispiace che ho fatto questa scelta (di collaborare con la giustizia ndr) oggi lo dico sì apertamente… mi hanno fatto dormire per tre mesi a terra ora mi devono lasciare soltanto in pace… la mia famiglia me la proteggo io se qualcuno attacca la mia famiglia io gli do la caccia ma non è una minaccia è una promessa io non ho niente da dire”.

Geraci disse di avere notizie de relato sull’omicidio Di Giacomo. Sotto processo c’è solo Lipari che ha sempre negato con forza di essere l’assassino (la vittima era come un padre per lui). La Procura aveva ipotizzato che il mandante fosse Tommaso Lo Presti, soprannominato “il pacchione”, boss di Porta Nuova, di recente scarcerato per fine pena.

Tanti indizi, ma nessuna certezza sul suo ruolo. Alfredo Geraci aveva messo a verbale di avere saputo che Di Giacomo aveva schiaffeggiato Lo Presti. Le sue parole restano agli atti delle indagini preliminari ma l’ex collaboratore di giustizia non le ha confermate in aula.


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