Palermo, omicidio Agostino: "Mi ha diffamato", scontro fra poliziotti

Palermo, omicidio Agostino: “Mi ha diffamato”, ed è scontro fra poliziotti

Le parole pronunciate durante una testimonianza in aula

PALERMO – Un commissario di polizia denuncia un collega per diffamazione. Il giudice di pace archivia ma il Tribunale annulla il decreto di archiviazione. Bisogna continuare a indagare. La storia inizia nell’aula della Corte di Assise di Palermo. Nel corso del processo per l’omicidio dell’agente Nino Agostino e della moglie Ida Castelluccio viene convocato come testimone Roberto Di Legami, subentrato ad Elio Antinoro alla guida del commissariato San Lorenzo. Si tratta dell’ufficio dove lavorava Agostino, assassinato nel 1989. Contemporaneamente faceva parte di una squadra riservata che dava la caccia ai latitanti.

Rispondendo alle domande dell’avvocato di parte civile, Fabio Repici, e facendo riferimento alla gestione Antinoro, Di Legami spiegò: “Diciamo che quel periodo non viene ricordato come uno dei periodi più brillanti del commissariato”. In che senso? “Non vorrei sembrare criptico, riferisco cose che mi furono riferite dai ragazzi che poi facevano parte della mia squadra, si dicevano cose che abbiamo trovato solo a Piacenza con, purtroppo, quel gruppo di carabinieri, ecco mi sembrava di descrivere quel tipo di attività… si parlava di droga sequestrata e non verbalizzata, parte della quale concessa…”. L’accostamento, di certo non lusinghiero, era con la caserma Levante di Piacenza, che fu soprannominata “la caserma degli orrori” quando nel 2020 finì sotto sequestro per gravi abusi commessi dai militari.

Il presidente della Corte lo richiamò. Un funzionario di polizia avrebbe dovuto fare nomi e cognomi invece di parlare in maniera generica. Antinoro, tramite il suo legale, l’avvocato Enrico Sanseverino ha presentato una denuncia per diffamazione archiviata dal giudice di pace. Sanseverino ha fatto reclamo contro la chiusura del caso ritenendo che fossero necessarie nuove indagini. Bisognava ad esempio convocare i colleghi dell’ufficio. Il giudice di pace li ritenne accertamenti superflui. Di avviso opposto il giudice Fabrizio Molinari della terza sezione penale. Le frasi sono diffamatorie a meno che non si scopra la loro origine.


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