Palermo, Morosini: "Cambiamento oppure perderemo la sfida"

Morosini, “cambiamento oppure perderemo la sfida sulla giustizia”

Parla il neo presidente del Tribunale di Palermo

PALERMO – Avvicinare i cittadini alla giustizia che nella giustizia hanno sempre meno fiducia. Non è facile. Il primo a rendersene conto è Piergiorgio Morosini, fresco di nomina. Non a caso il neo presidente del Tribunale di Palermo parla di “grande sfida”.

Da dove si comincia?
“Arrivo a Palermo in una stagione particolare per la giustizia italiana. Ci sono a disposizione i fondi stanziati dal Pnrr. È una grande possibilità di rinnovamento tecnologico, organizzativo e culturale. I fondi possono, però, diventare una grande occasione perduta se non determiniamo il cambiamento. Bisogna rivedere alcune convinzioni del passato”

Ad esempio?
“Ci illudiamo che le riforme normative possano risolvere i problemi. Ogni due anni si assiste a riforme processuali, nel penale e nel civile. Ma non ci rendiamo conto che questi cambiamenti devono sedimentarsi per produrre orientamenti consolidati. Tutto ciò comporta un prezzo da pagare, nella qualità e nella efficienza del servizio”.

Giustizia ed efficienza fanno spesso a pugni
“Per questo parlo di grandi sfide. Sono pronto ad ascoltare tutte le figure, tutti i protagonisti. Gli avvocati, il personale ausiliario e di cancelleria, i magistrati, anche quelli onorari di cui non si parla mai abbastanza, ma che sono una componente importante. Il compito è complesso, delicato, ma è anche una sfida che merita di essere combattuta”.

Per le sfide bisogna essere pronti, altrimenti diventano sconfitte. Il sistema giustizia a Palermo è pronto?
“La realtà palermitana ha le risorse umane per potere affrontare questa sfida. Anche in passato ha dimostrato di essere all’altezza. Penso ai processi con un certo grado di difficoltà, anche organizzativo, ma il sistema ha retto la sfida a partire dalla seconda metà degli anni Ottanta. Siamo stati una realtà all’avanguardia. Ci sono le intelligenze che servono. Non ho ricette, si tratta di tornare a investire sulle collaborazioni, sulle convergenze e le alleanze istituzionali. Un programma organizzativo per il tribunale di Palermo non può essere varato senza sentire sentire il punto di vista degli avvocati”.

Se ho bene inteso: nessun provvedimento calato dall’alto
“Andando nel concreto. Per sapere quante risorse servono nelle varie sezioni, immigrazione, lavoro etc bisogna ascoltare i protagonisti. Dalle risorse che utilizzi dipende la tempestività delle risposte”.

E per il settore penale?
“Ho degli obiettivi, ma siamo ancora nella fase embrionale. Ad esempio la legislazione penale punta molto sulla messa alla prova per gli adulti. Quando si è di fronte a reati che possono essere puniti con minori entità offriamo al soggetto interessato una possibilità di reinserimento con programmi di lavoro. Per chi guida le strutture giudiziarie è importante avere un dialogo continuo con i rappresentanti degli enti locali e del cosiddetto ‘privato sociale'”.

Ci sono state vicende, su tutte il caso Saguto, che hanno provocato la sfiducia del cittadino. Incarichi, consulenze, favori: acqua passata?
“Sono vicende che non possiamo sottovalutare. Sono stati fatti passi avanti in termini di trasparenza nel conferimento degli incarichi. Da sette anni, dal momento dell’esplosione del caso, i presidenti che mi hanno preceduto sono intervenuti”.

Prevenire è meglio che curare
“C’è stata e ci sarà grande attenzione rispetto alla gestione di certe procedure che scatenano gli appetiti. Io credo che Palermo sia stata in epoca successiva alle vicende un esempio per altre realtà nell’individuazione dei protocolli necessari”.

In sintesi: ascoltare mi pare sia la sua parola d’ordine
“Ci sarà uno forzo supplementare di ascolto verso gli utenti. Bisogna dare la possibilità a chi fa domanda di giustizia di avere il tempo necessario per spiegare le proprie ragioni. Un testimone non può aspettare delle ore per sentirsi dire che il processo deve essere rinviato”.

Buoni propositi, fondi Pnrr, grandi sfide e poi succede, perché succede, che nelle cancellerie manchi la carta e gli avvocati debbano portarla da casa. Le montagne russe della giustizia
“Magari ci sono settori in cui la carta non manca e ci sono maggiori risorse, anche sovradimensionate. Cercheremo di individuare le priorità”.

Lei è in magistratura da 30 anni. C’è un esempio che si porta dietro in questa nuova esperienza?
“Per il mio primo incarico decisi di venire a Palermo. Potevo andare a Milano. C’erano state le stragi, le figure di riferimento erano i magistrati che hanno perso la vita. Le può sembrare una banalità, ma non lo è”.

Ben venga, in questo caso, la banalità
“Le cose lette della produzione di Giovanni Falcone mi hanno offerto indicazioni su tantissime questioni. Non solo sul contrasto alla mafia, ma anche sull’autonomia, sulla gestione dell’ordinamento. Falcone era in grado di dialogare e confrontarsi con tutti. Ad un certo punto si è confrontato con il mondo della politica per le riforme, tenendo posizioni che erano oggetto di ostracismo. A volte potevano anche non essere condivisibili, ma aveva il coraggio delle idee e argomentava le sue ragioni”.


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