Parla il figlio di Gino "u mitra": | "Papà non è un confidente della polizia" - Live Sicilia

Parla il figlio di Gino “u mitra”: | “Papà non è un confidente della polizia”

“Mio padre un confidente della polizia? Assolutamente falso”. Così Antonino Abbate, figlio di Gino Abbate (nella foto), soprannominato ‘Gino u mitra’, arrestato il 13 luglio per associazione mafiosa e ritenuto dai magistrati il capo della ‘famiglia’ del Borgo Vecchio, smentisce il presunto legame tra il padre e la dirigente del commissariato Libertà Rosi La Franca. Il rapporto confidenziale tra Abbate e la funzionaria era emerso da alcune intercettazioni telefoniche. La La Franca si sarebbe rivolta al capomafia sperando di avere informazioni utili per arrivare alla cattura del boss della Kalsa Antonino Lauricella. La dirigente, inoltre, a cui i pm hanno chiesto chiarimenti sul suo rapporto col mafioso, chiese aiuto ad Abbate per riavere l’auto che le era stata rubata. La macchina non è stata mai ritrovata.

“Come ha detto mio padre nell’interrogatorio reso al Gip – spiega Antonino Abbate, che gestiva un chiosco alla Kalsa – la dirigente cominciò a tartassarlo con perquisizioni quotidiane, cercando di costringerlo, così, a darle informazioni sul nascondiglio di Lauricella con cui, però, lui non aveva rapporti”. “Le cose sono andate così per mesi – aggiunge – Tanto che mio padre, per evitare le continue pressioni della polizia, le dava false indicazioni dicendole che avrebbe trovato l’uomo che cercava a Monreale, a Mondello. Prova che erano tutte fandonie è che la retata organizzata il 15 giugno per prendere Lauricella alla Kalsa, che secondo la dirigente sarebbe stata fatta grazie alle segnalazioni di mio padre, non ha dato alcun risultato”. “Anche la storia dell’auto da ritrovare – prosegue – è emblematica: mio padre disse alla poliziotta che l’avrebbe aiutata, ma così non fece perché non era in suo potere risolvere la questione”.

“Sono anni – dice Abbate – che pago le conseguenze del nome che porto. Mio padre ha fatto le sue scelte. Io ho intrapreso un percorso diverso: lavoro con grandi difficoltà, perché nessuno mi assume visto il cognome che ho, da quando avevo 15 anni e ho due bambine. Mi è stato sequestrato il chiosco perché ritenuto di proprietà di mio padre: quindi non ho neppure più questa fonte di reddito”.


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