Mafia, processo Scarantino - Live Sicilia

Processo Borsellino, Scarantino “ritrattò già nel 1995”

Il processo di Caltanissetta

CALTANISSETTA – La ritrattazione del falso pentito Vincenzo Scarantino al giornalista Angelo Mangano è al centro del penultimo giorno della requisitoria del pm al processo sul depistaggio delle indagini per la strage di Via D’Amelio che vede imputati, a Caltanissetta, di calunnia aggravata Mario Bo, Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei, i tre poliziotti che facevano parte del pool che indagò sull’attentato costato la vita al giudice Paolo Borsellino e della scorta. Il pubblico ministero Stefano Luciani ha ricordato quando Scarantino, che secondo la Procura sarebbe stato indotto dai poliziotti ad accusare della strage persone innocenti, si mise in contatto con Mangano per confessare che dietro alle sue dichiarazioni c’erano le pressioni della polizia.

“Scarantino mi disse – ha raccontato il giornalista ai magistrati in un verbale letto in aula – che era stato torturato, che gli avevano fatto urinare sangue mentre era detenuto a Pianosa, che lui dell’attentato non sapeva nulla e che aveva accusato innocenti”. La ritrattazione avvenne nel 1995. Finita l’intervista con Mangano il cronista ricevette una chiamata dalla questura in cui gli si disse che lo cercava l’ex capo della Mobile Arnaldo La Barbera, all’epoca a capo del pool investigativo che indagava sulle stragi. “Capii che Scarantino era intercettato, altrimenti come avrebbero fatto a sapere della mia intervista?”, ha raccontato Mangano ai magistrati.

“In realtà – rivela il pm – Scarantino non era più intercettato, almeno ufficialmente”. Il falso pentito, dunque, continuava a essere tenuto sotto controllo dalla polizia nonostante non fosse più intercettato ufficialmente. Mangano, nonostante i tentativi di contattarlo di La Barbera, non risponde. Ma dal nastro dell’intervista sparisce la parte in cui Scarantino parlava di la Barbera. “Come è stato possibile ?”, si chiede Luciani. Luciani ha ricordato anche il tentativo di ritrattazione che Scarantino fece proprio con uno degli imputati: Mario Bo. Il tentativo di ritrattazione sarebbe degenerato: il falso pentito e Bo avrebbero avuto una discussione violenta che sarebbe finita con l’ammanettamento di Scarantino. “Su quell’episodio non c’è alcuna relazione di servizio – stigmatizza Luciani -Queste vicende confermano quale era lo scopo e la reale funzione della presenza dei poliziotti nella località in cui Scarantino si trovava: cioè controllare il falso pentito che era vittima di umore instabile perchè sapeva di avere accusato persone innocenti e di porre subito rimedio nel caso in cui Scarantino avesse dei cedimenti”. “Attorno a Scarantino c’era un ‘cordone sanitario’ fatto dalla polizia e volto a controllarlo e evitare si aprissero falle nelle dichiarazioni che era stato indotto a fare ai magistrati”, ha aggiunto il pm.

Le rivelazioni del falso pentito Francesco Andriotta sulle pressioni subite dalla polizia affinché dicesse il falso sulla strage di Via D’Amelio sono oggetto della seconda parte della requisitoria del pm al processo sul depistaggio delle indagini per la strage di Via D’Amelio che vede imputati, a Caltanissetta, per calunnia aggravata Mario Bo, Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei, i tre poliziotti che facevano parte del pool che indagò sull’attentato costato la vita al giudice Paolo Borsellino e della scorta. Secondo la Procura avrebbero creato a tavolino falsi pentiti come lo stesso Andriotta e Vincenzo Scarantino inducendoli a mentire sulla ricostruzione dell’eccidio e ad accusare persone innocenti. Ad Andriotta sarebbe stato chiesto di imparare a memoria e ripetere ai pm quello che la polizia gli diceva di dire sulla strage, in cambio gli sarebbero state fatte promesse di alleggerimento della sua posizione giudiziaria e miglioramenti della condizione carceraria. Davanti alle sue perplessità ad accettare le richieste avrebbe subito minacce e una serie di abusi in carcere. Andriotta, ricorda il pm Stefano Luciani, fa nomi e cognomi di chi lo avrebbe spinto a mentire e parla espressamente del ruolo dell’allora capo del pool che svolgeva le indagini, Arnaldo La Barbera, deceduto qualche anno fa. La Barbera lo avrebbe “preparato” sull’interrogatorio che di lì a poco avrebbe dovuto sostenere con l’ex pm Ilda Boccassini che faceva parte pool di pm che indagava sulle stragi del ’92 e gli avrebbe detto di confermare le dichiarazioni di un altro falso pentito, Salvatore Candura. Il pm ha ricordato tutte le rivelazioni di Andriotta sui tentativi di uno degli imputati, Mario Bo, di suggerirgli le cose da dire: il poliziotto gli avrebbe fornito appunti da imparare a memoria in merito a una delle riunione in cui Cosa nostra deliberò l’esecuzione delle stragi, il summit di Villa Calascibetta.


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