PALERMO – La violenza esplode in casa. Lì dove si cerca rifugio e protezione dal mondo esterno troppo spesso arriva la morte per mano di qualcuno che ha il volto di un familiare. L’ultimo caso ieri, a Bagheria. Una ragazza diciassettenne confessa di avere strangolato la mamma, Teresa Spanò, insegnante di 55 anni. Ha confessato di averla strangolata dopo l’ennesima lite.
Ci si sente protetti in casa, sicuri. Ed invece la vittima condivide gli stessi spazi del carnefice. I legami familiari finiscono per esasperare le incomprensioni. La rabbia cova nella quotidianità, fino a manifestarsi nel più macabro dei modi.
I fatti di Bagheria obbligano ad aggiornare un elenco di morte tra le mura domestiche. Maria Amatuzzo aveva 29 anni. Il marito, Ernesto Favara, che di anni ne ha 63, la vigilia di Natale le ha piantato dodici volte il coltello in pancia nella loro casa a Marinella di Selinunte, nel Trapanese. Era accecato dalla gelosia.
Pochi giorni prima, a Villabate nel Palermitano, Salvatore Patinella ha ucciso l’ex compagna Giovanni Bonsignore, infierendo con un bisturi sul suo corpo. Non si era rassegnato alla fine della loro relazione.
Ai tanti, troppi femminicidi si aggiungono i casi in cui le donne vengono uccise per mano dei figli. A metà dicembre scorso Salvatore Seidita, 34 anni, ha confessato di avere ucciso a coltellate il padre Salvatore e la madre, Rosa Sardo, a Racalmuto, in provincia di Agrigento. Marito e moglie sono stati trovati abbracciati, distesi a terra, in una pozza di sangue. Stavano uscendo per festeggiare la pensione dell’uomo.
Lo scorso luglio 2022 il figlio quindicenne ha usato un coltello per uccidere la mamma, Valentina Giunta, 32 anni, nella sua abitazione a Catania. La sua è stata una confessione choc. Il ragazzino avrebbe temuto che la mamma stesse cercando di allontanarlo dal padre detenuto.
Storie di morte, di amore che amore non è, di rapporti complicati che sfociano nella furia omicida lì dove ci si dovrebbe sentire protetti, a casa. Ed invece le pareti domestiche diventano luoghi dell’orrore.
CREDO SAREBBE OPPORTUNO CHE IL COMANDANTE GENERALE DELL’ARMA DEI CARABINIERI, GENERALE DI CORPO D’ARMATA, TEO LUZI, COSÌ COME HA FATTO PER IL CASO CUCCHI, PER ESEMPIO, ROMPESSE IL SILENZIO E DICESSE DUE PAROLE, ANCHE DI CIRCOSTANZA, SUL CASO IN ESAME. COSÌ, FORSE, LA FAMIGLIA ED IN PARTICOLARE LA VEDOCA DEL MARESCIALLO, SI SENTIREBBERO MENO SOLI. DALTRONDE IL DEFUNTO ERA UN CARABINIERE E NON UN CARABINIERE QUALSIASI, UNO CHE HA PORTATO LUSTRO ALLA BENEMERITA E QUINDI SAREBBE OPPORTUNO CHE IL GENERALE LUZI, DICESSE, COME PER IL CASO CUCCHI, CHE I RESPONSABILI, QUALORA INDIVIDUATI, PAGNERANNO. L’ARMA LO DEVE ALLA FAMIGLIA LOMBARDO. IMPERATIVO CATEGORICO:- USCIRE DAI RUMOROSI SILENZI CHE CELANO UN’OMERTA’ DI STATO, INTOLLERABILE.
ED IO SO BENISSIMO CHE IL GENERALE LUZI NON È UN OMERTOSO, QUINDI, ATTENDIAMO