Quelle riforme che danneggiano il Presidente e la Sicilia

Quelle riforme che danneggiano il Presidente e la Sicilia

Perché quei cambiamenti sono nocivi
L'OPINIONE
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Tra i tanti temi toccati dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni nella lunga conferenza stampa di fine anno due meritano una particolare attenzione: la riforma costituzionale sul cosiddetto “premierato all’italiana” e l’Autonomia differenziata. La meritano non solo perché la Meloni ha affermato cose non veritiere e altre tutte da dimostrare, ma pure perché se davvero dovessero concretizzarsi tali riforme ci troveremmo dinanzi a una sciabolata inferta ai fondamenti valoriali della nostra Costituzione e a una insidiosa estensione della spaccatura tra Nord e Sud già di per sé abbastanza vistosa.

Non è vero, come sostiene la Meloni, che la riforma istituzionale sul premierato non tocca i poteri del Presidente della Repubblica, li tocca eccome. Da punto di alto equilibrio tra i poteri dello Stato e le dinamiche non di rado nefaste della politica e dei partiti il Capo dello Stato è declassato a mero osservatore di queste dinamiche senza avere più la possibilità di nominare governi tecnici, di individuare nuove maggioranze e di affidare a chiunque ritenga l’incarico di presidente del Consiglio. Ne abbiamo parlato diffusamente in un nostro articolo su Livesicilia del 30 novembre (“Premierato, ecco perché la versione all’italiana non funziona”).

Singolare che Giorgia Meloni si arrischi a definire immodificate dalla riforma le prerogative del Presidente della Repubblica quando è stato proprio un esponente del suo partito e attuale presidente del Senato, Ignazio La Russa, a lamentarsi di una frequente esondazione di tali prerogative a opera degli inquilini del Quirinale. In realtà, la funzione di mediazione e di moral suasion esercitata dai presidenti della Repubblica che si sono succeduti nel tempo non solo si è mantenuta entro i confini costituzionali ma ha spesso evitato pericolosi cortocircuiti istituzionali richiamando ogni attore in scena ad attenersi ai principi costituzionali e ai doveri verso il Paese.

L’Autonomia differenziata. La Meloni sostiene che rappresenterebbe un volano per lo sviluppo del Meridione. Un azzardo. Invece è uno spettro che si aggira nei Palazzi e che minaccia seriamente l’unità e indivisibilità del Paese. La frase attribuita a Massimo D’Azeglio: “Abbiamo fatto l’Italia ora facciamo gli italiani” non convince alla luce dell’odierno quadro sociale, economico e istituzionale. L’Italia, al di là dei fasti dell’unificazione nel 1861, non è stata mai veramente una nazione nel senso pieno del termine. Non lo è stata per varie ragioni, culturali, politiche ed economiche, che purtroppo non leggiamo sui libri di storia scolastici.

Sapendo di sollevare delle critiche ritengo che la stessa autonomia speciale concessa alla Sicilia, al Friuli Venezia Giulia, alla Sardegna, al Trentino-Alto Adige e alla Valle d’Aosta agli albori della Repubblica non ha certo contribuito a realizzare la difficile missione di unire definitivamente un popolo con all’interno enormi differenze culturali e condizioni di vita. Del resto, se guardiamo alla Sicilia in particolare l’autonomia speciale non ci ha salvato dal sottosviluppo, dallo scempio del territorio, dallo strapotere della mafia, dall’esodo infinito dei nostri giovani.

L’Autonomia differenziata, almeno così come è concepita nella mente del ministro leghista Roberto Calderoli, darebbe il colpo di grazia. Aumenterebbe i divari, vedi sanità e scuola innanzitutto, in quanto le somme trattenute dal Nord in base alle nuove competenze e al conseguente storno di risorse economiche e finanziarie renderebbero più ricche le regioni già ricche – lo dimostrano gli studi della Svimez (Associazione per lo Sviluppo dell’Industria nel Mezzogiorno) – Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, e più povere le regioni del Sud che non potranno contare sul sostegno dello Stato a sua volta impoverito dal dirottamento delle risorse prima raccolte a livello centrale.

Annotazione a margine: come può una discendente del Movimento Sociale Italiano, la Meloni, sovranista, nazionalista e patriottica, accettare una secessione nei fatti da tempo agognata dalle rive del Po dai seguaci del condottiero, forse mai esistito, Alberto da Giussano? Esigenze tattiche per tenere buono Matteo Salvini? Fino a quando? Insomma, non è affatto chiaro dove sta andando la nave Italia e ciò che emerge non è per niente rassicurante.


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