Sfugge al fisco, non a Cosa nostra | L'imprenditore nel mirino dei boss - Live Sicilia

Sfugge al fisco, non a Cosa nostra | L’imprenditore nel mirino dei boss

I mafiosi di San Lorenzo hanno progettato l'assalto alla villa di un facoltoso imprenditore. Erano certi che custodisse oro e soldi in cinque casseforti. Il basista aveva fornito indicazioni precise. I preparativi registrati dalle microspie.

OPERAZIONE APOCALISSE
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PALERMO – È sfuggito al fisco, ma non a Cosa nostra. L’imprenditore ha fatto soldi a palate. E “in nero”, dicevano i presunti mafiosi che hanno progettato di svuotare “cinque casseforti”. Lo hanno seguito, pedinato. Conoscevano i suoi movimenti. E soprattutto erano certi di fare il colpaccio. Nella villa avrebbero trovato soldi e oro.

Non sappiamo come sia andata a finire. Se il piano sia stato messo a segno o meno. Nei commissariati e nelle caserme non risultano denunce di furti o rapine così eclatanti. Non è stato messo a segno oppure la vittima ha preferito non denunciare perché non avrebbe potuto giustificare tutto quel denaro? Resta un episodio oscuro, nonostante l’enorme sforzo investigativo che ha portato all’arresto dei 91 boss e gregari dei mandamenti palermitani di San Lorenzo e Resuttana. Non conosciamo neppure il nome del facoltoso imprenditore, proprietario della villa da assaltare. Per una volta, infatti, i mafiosi che straparlano senza mettere nel conto di finire intercettati hanno usato cautela. E quando ne hanno pronunciato il nome lo hanno appena sussurrato. E così non è rimasto impresso nei nastri magnetici.

L’affare lo avrebbe fiutato Ciro Guccione, fruttivendolo di viale Strasburgo. Sapeva, però, che per metterlo a segno serviva il via libera della cosca. Che fosse un colpo importante lo si intuisce dagli uomini coinvolti. Della rapina, infatti, erano stati informati Onofrio Terracchio e Paolo Lo Iacono della famiglia di Pallavicino-Zen, e Salvatore D’Alessandro di San Lorenzo. Il cuore della nuova mafia in queste zone è stato azzerato dai carabinieri del Nucleo investigativo e del Reparto operativo del comando provinciale di Palermo.

“Vedi che forse dobbiamo fare poi una cosa… dobbiamo fare un lavoro… forse ho trovato un lavoro per tutti e due”, spiegava nel gennaio 2013 Terracchio, che a scanso di equivoci chiariva: “Rapina, si”. “Ma dove?”, chiedeva D’Alessandro. E qui la voce si faceva volutamente bassa per celare l’identità della vittima. Terracchio era sul chi va là, avrebbe voluto coinvolgere qualcun altro. Forse qualcuno più in alto di lui: “… e se poi invece non si poteva fare, che facciamo?”. D’Alessandro, invece, era più risoluto: “… noi intanto ce lo andiamo a fare… se non si poteva fare… perché chi è che deve sapere che siamo stati noi? Non lo sa nessuno”.

La talpa era “uno che lavora la dentro, dentro la villa”. Uno che aveva spiegato che il colpaccio era davvero a portata di mano: “… quattro o cinque cose… casseforti… lui sa tutte dove sono… ma si deve fare… si deve prendere a lui, al padrone… hai capito? Ci dobbiamo fare aprire… e basta, nessuno, senza altre partecipazioni”. D’Alessandro: “… si deve fare fermare a questo… no io non voglio conoscere a nessuno… lo prende Ciro”. Nel bersaglio era finito qualcuno di cui conoscevano i segreti di imprenditore-evasore. Terracchio sapeva addirittura “che sono tutte nere questi piccioli… la maggior parte.. di questi soldi sono tutti in nero”. Il colpo non era neppure complicato:”… non è per niente difficile cucì… ci sono telecamere… si deve prendere fuori te l’ho detto. Si sale con lui…”. D’Alessandro già pregustava il gruzzolo. E si rammaricava che Terracchio avesse deciso di coinvolgere terze persone: “… ora quello se glielo dice a qualche altro e glielo fa fare… Noi non ce la prendiamo nel culo? Per questo, queste cose non si fanno”. Terracchio lo tranquillizzava: “… non sa ne l’indirizzo… sa solo il nome e basta, non sa più niente… non si fida di nessuno, non si fida di nessuno, parla solo con me e suo figlio Pietro, basta, sotto questo punto di vista…”

Il 18 gennaio gli interlocutori dimostravano che il progetto era entrato nel vivo. Avevano saputo della sete di vendetta del basista. “Lo sai pure perché mi ha fatto venire il dubbio questo di qua… – spiegava Terracchio – perché dice che ce l’ha con lui… non ho capito chi chi… come è stato… forse lo ha trattato male… una cosa di questa e dice che lui si deve vendicare così…”. D’Alessandro: “… e le cose te lo ha detto dove sono messe?”. Terracchio: “Nella cassaforte… una sotto… dice e due sopra… poi mi ha detto che ne ha due dentro la cosa”.

Difficile, dicono gli investigatori, che un colpo programmato nei minimi dettagli non sia stato alla fine messo a segno. Ecco perché il fronte investigativo resta aperto.

 


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