Covid la tragedia dei fratelli Vinci

Rita, Francesco, Massimo: la tragedia Covid dei fratelli Vinci

La storia di tre ragazzi. Prima del dolore.

Ci sono molti modi di guardare al distacco di qualcuno che se ne va. Se lo fai con gli occhi della memoria, c’è una qualità della sofferenza specifica. Essere stati bambini nelle vicinanze. Avere frequentato gli stessi luoghi, popolati da tubi di scappamento, palloni che si incastravano, cancelli verdi adibiti a porte, richiami dai balconi e sguardi furtivi da quegli stessi balconi, senza potere partecipare alla partitella sotto casa. Avere spezzato il pane dell’infanzia da figurine di prossimità. Sono tutti elementi che rendono vivida la fisionomia di un’assenza, nella trasfigurazione della memoria. Ma questo è un tempo che non riconosce il dolore, pur essendone sommerso. Che non riesce più a riunire le persone e che, anzi, le divide. Il tempo del Covid. Ed è giusto rammentare sempre che chi non si vaccina commette un grave errore verso se stesso e verso gli altri. Ma quando la sventura arriva, dovremmo soltanto restare insieme, attraversando le lacrime per quello che sono: un confine estremo dell’umanità.

Difficilmente esiste una sventura più tremenda di quella capitata alla famiglia Vinci: Rita, Francesco, Massimo. Tre persone, tre fratelli, tre figli, uccisi dal Covid. “Eccoci qua, ancora una volta, a rivivere lo strazio di un addio che noi non avremmo mai voluto ripetere”. Sono le parole che abbiamo ascoltato al funerale di Massimo (nella foto), per celebrare l’addio dopo la morte di Rita e Francesco, pronunciate dall’avvocato Enza Ciulla, amica della famiglia. Erano rimasti orfani della mamma. Erano cresciuti a piazza Europa, circondati da un mondo ordinato: la macelleria, il panificio, la salumeria e la chiesa. Un piccolo villaggio che offriva riparo, dove convivevano famiglie diverse che si sentivano parte di qualcosa. Come se incontrarsi ogni mattina – ed era così – fosse un’opportunità per volersi bene. Non c’erano i social. C’erano i passi delle persone, ognuna per la sua strada, che si radunavano in abituali crocevia. E si scambiavano pezzi di esistenza, perfino nei pochi secondi di un viaggio, in un ascensore con la cassettiera per le monetine.

Come succede a tutti erano diventati grandi. Una consigliera comunale (Rita). Un terapeuta (Francesco). Un imprenditore della movida (Massimo). Sergio, bravissimo musicista, ricorda: “Rita era una persona splendida sembrava sempre una picciuttedda, aveva un sorriso meraviglioso e contagioso. Massimo era un po’ più riservato, era chiuso all’inizio, ma appena lo conoscevi bene si apriva ed era solare, allegro. Mi chiamavano spesso per suonare nel loro locale, erano persone care. Ci siamo conosciuti da bambini e siamo rimasti amici. Questa tragedia ci ha sconvolti. Speravamo che Massimo potesse farcela, invece abbiamo saputo che anche lui non era sopravvissuto e ci è crollato il mondo addosso. Un altro pezzo di piazza Europa che se ne va con il signor Buscemi”. Nino Buscemi, storico panettiere, è stato ucciso dal Covid all’inizio di quest’anno. Sulla pagina di Francesco Vinci si leggono diversi post di commiato e di ringraziamento: “Ciao Francesco, ricordo la tua energia prorompente e mi pare impossibile che te ne sia andato così”.

Le piazze di oggi non sono più quelle di ieri. La pandemia ha reciso legami ovunque, ma il declino era cominciato già prima, quando i figli degli anni Ottanta avevano iniziato l’esodo, per trovare lavoro, in città del Nord dai nomi strani. In piazza resistono il panificio, il barbiere, la chiesa. Ma i ragazzi di allora non ridono più all’ombra dei sabati da trascorrere in comitiva. Perché scrivere ancora dei fratelli Vinci, stroncati dalla malattia, oltre la cronaca dei primi giorni? Per affettuosa memoria. Per non lasciarli andare da numeri anonimi: non lo erano, come nessuno. Per stringere in un abbraccio chi sta soffrendo. Per non scordare due circostanze. Bisogna correre a vaccinarsi per proteggersi e imparare di nuovo a vivere il distacco per quello che è: un luogo esclusivo del dolore e dell’amore. Come quando eravamo innocenti. Come quando la morte sembrava un incidente di percorso che non cambiava la felicità che sarebbe rimasta immortale, nello stupore di essere vivi.

(nella foto Massimo Vinci)


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