Il mare magnum del caso Saguto | Obiettivo: "Blindare" le prove - Live Sicilia

Il mare magnum del caso Saguto | Obiettivo: “Blindare” le prove

Il giudice Silvana Saguto

Un lavoro complesso fra migliaia di carte per scovare "favori, nomine e passaggi di denaro".

PALERMO – Un numero maggiore di indagati di quanti finora emersi, decine di amministrazioni giudiziarie setacciate, tonnellate di carte da spulciare, un elenco sterminato di favori, o presunti tali, e assunzioni. Ed ancora: nomine, consulenze e soprattutto passaggi di denaro. Benvenuti nel mare magnum dell’inchiesta sui beni confiscati alla mafia.

“Che fine ha fatto il caso Saguto?”, si chiede, come ha raccontato Livesicilia, un giudice della Corte d’appello di Palermo. Risposta complicata perché complesse sono le indagini che la Procura della Repubblica di Caltanissetta ha delegato ai finanzieri della Polizia tributaria di Palermo.

Considerata la mole di lavoro, a dire il vero, gli undici mesi finora trascorsi sembrano persino pochi per potere già tirare le somme. Eppure almeno una parte delle indagini sembra destinata ad arrivare alla conclusione prima dei caldi mesi estivi, quando scadrà la proroga di sei mesi iniziata fra dicembre e gennaio scorsi. Di proroga i pm nisseni, coordinati dall’aggiunto Lia Sava, potrebbero sfruttarne un’altra, sempre di 180 giorni.

Il punto è che si è partiti da un caso singolo – la gestione della concessionaria Nuova Sport Car sequestrata ai Rappa e affidata dal giudice Silvana Saguto al giovane avvocato Walter Virga, figlio di un altro giudice, Tommaso – e si è scoperto un fenomeno. Un sistema, come viene definito, dove la gestione della sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo sarebbe stata piegata ad interessi personali fino a ipotizzare reati pesantissimi come la corruzione e l’autoriciclaggio.

Il caso è esploso nella sua drammatica evidenza una mattina di settembre con i finanzieri che piombano nella stanza della Saguto e nella cancelleria del Tribunale. Tutti, gli indagati per primi, a quel punto sanno di essere finiti sotto inchiesta, anche se dalle intercettazioni sembrava che lo avessero già intuito da un po’. Nell’ufficio dell’ex presidente, infatti, c’erano le cimici. Perché svelarne l’esistenza e spegnere la microspia nella stanza dei bottini? Perché, evidentemente, era giunto il momento di scoprire le carte forse per stoppare qualcosa, oppure perché gli investigatori avevano ascoltato già ciò che serviva. Che deve essere molto di più di quanto finora trapelato.

Le intercettazioni finora conosciute ci hanno svelato un sistema di nomine clientelari, favori, piccoli e grandi – cassette di frutta e laurea del figlio della Saguto inclusa -, ma non è tutto. Da approfondire, secondo i pm, è il corposo capitolo del presunto patto corruttivo fra Saguto e l’avvocato Gaetano Cappellano Seminara che avrebbe ottenuto la gestione di grossi patrimoni in cambio di consulenze per il marito del’ex presidente, l’ingegnere Lorenzo Caramma, pure lui sotto inchiesta. Settecentocinquantamila euro: a tanto ammontano i compensi liquidati a Caramma dal 2005 al 2014, in un arco temporale che è iniziato quando la Saguto era membro del collegio delle Misure di prevenzione ed è proseguito quando dello stesso collegio il magistrato è divenuto presidente nel 2010.

C’è un dato certo perché scolpito nei nastri delle intercettazioni. La famiglia della Saguto aveva un tenore di vita altissimo, che ad un certo punto divenne insostenibile. Il magistrato diceva a Elio, uno dei suoi tre figli: “Dobbiamo parlare, perché la situazione nostra economica è arrivata al limite totale, non è possibile più… voi non potete farmi spendere 12,13,14 mila euro al mese noi non li abbiamo questi introiti perché siamo indebitati persi”.

In realtà, dall’analisi della carta di credito del magistrato, si è scoperto che di soldi ne arrivavano a spendere in un mese fino a 18 mila euro. Per rimediare, secondo la Procura nissena, l’ex presidente avrebbe ottenuto soldi in contanti da Cappellano Seminara. E qui si innesta un altro passaggio delicato. L’ipotesi, smentita dai presunti protagonisti, è che una sera di giugno l’amministratore giudiziario possa avere portato ventimila euro in un trolley a casa Saguto. Nelle intercettazioni si parlava di “documenti”.

Altra domanda: perché non bloccare Cappellano con la prova regina? Possibile risposta: perché a fini investigativi la prova, o presunta tale, poteva essere meglio cristallizzata seguendo i successivi passaggi del denaro. “Non è emersa alcuna traccia di scambi di denaro tra la mia assistita e gli amministratori giudiziari, e gli accertamenti bancari lo confermano – disse l’avvocato della Saguto, Giulia Bongiorno – le accuse sono palesemente sbagliate”.

In altre conversazioni fra l’ex presidente e il padre si parla di mazzettine di denaro. Non sarebbero solo i soldi in contanti, però, che i finanzieri hanno cercato per riscontrare le parole intercettate. Parole da cui emergerebbe la convinzione di potere godere dell’impunità. Una sicurezza che avrebbe spinto i protagonisti a commettere degli errori e a lasciarne traccia? Lo scopriremo e forse non si dovrà neppure attendere molto tempo ancora.

Il lavoro degli inquirenti impegnati a “blindare” ciò che sarebbe già stato acquisito sembra muoversi su più livelli. C’è quello più alto dove compaiono i nomi della Saguto, di Cappellano, dei Virga e di qualche altro rappresentante delle istituzioni come l’ex prefetto di Palermo, Francesca Cannizzo. La sola Saguto è stata sospesa, tutti gli altri trasferiti. E poi, a cascata, ci sono i livelli più bassi che arriverebbero fino ai “raccomandati” per un post di lavoro o per una consulenza. L’inchiesta potrebbe procedere per step.


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