Il monologo dello scrittore Roberto Saviano – basico in qualche passaggio, toccante in qualche altro: comunque efficace – divide, non per le parole, ma per il contesto. Il racconto delle stragi, dell’orrore, delle vittime di mafia, mescolato alle canzonette, agli sponsor e alla varietà umana e commerciale del Festival di Sanremo.
Questo, per esempio, ha spinto alla critica Giuseppe Di Lello e Giovanni Paparcuri, magistrato del pool antimafia, il primo, collaboratore dei giudici Falcone e Borsellino, il secondo. Una stroncatura preventiva è stata espressa, per esempio, nelle parole del dottore Di Lello raccolte da LiveSicilia.it: “Non sono affatto d’accordo nel trascinare Falcone e Borsellino dentro le canzonette di Sanremo, specialmente da parte di Saviano che ha recensito con entusiasmo il libro della Boccassini, senza accorgersi del discredito gettato su Falcone e del mancato rispetto per i morti e per i vivi”. Mentre Maria Falcone, sorella del giudice assassinato a Capaci, si è detto in sintonia con quel rito della condivisione.
Sul palco sanremese sono fioccati gli applausi e non sono apparsi ‘finti’, né scontati. La memoria è la prima vittima di questi tempi confusi. Dunque, probabilmente, la partitura dell’autore di ‘Gomorra’ sarà servita per mettere a fuoco quel dolore, sia per gli smemorati che per gli impreparati. E un tuffo al cuore, per chi ricordava anche prima, è stato provocato dal drappeggiare sullo sfondo dell’immagine di due amici strappati alla vita dalla violenza mafiosa.
Nel frattempo, sui social, il consenso per l’esibizione vince sul dissenso, almeno ‘a caldo’ sembra così. C’è chi obietta e afferma che quei cari nomi di martiri dovrebbero essere pronunciati in ambiti appropriati e mai seguiti dalla pubblicità. C’è chi invece sostiene che l’importante è che siano comunque pronunciati. E mai dimenticati.