Sant'Agata, 890 anni| dalla traslazione delle reliquie - Live Sicilia

Sant’Agata, 890 anni| dalla traslazione delle reliquie

Tra storia e leggenda il racconto del ritorno in patria delle sacre reliquie della martire.

Le celebrazioni di agosto
di
2 min di lettura

CATANIA  – Cifra tonda, per sant’Agata d’Agosto. Quello di quest’anno sarà infatti l’890esimo anniversario della traslazione delle reliquie della martire catanese da Costintinopoli in patria. Secondo la tradizione, i resti mortali della patrona etnea lasciarono la città di Catania nel lontano 1040, portati via dal generale bizantino Giorgio Maniace. Un affronto per la città, ma anche un gradito regalo per l’imperatore Michele IV Plaflagone. Le ossa furono quindi custodite nella chiesa di Santa Sofia, oggi moschea Azzurra, per quasi 86 anni.  Per la cronaca, l’altarino di via Giuseppe Benedetto Dusmett che quest’anno è stato imbrattato da feci umane a pochi giorni dalla festa di febbraio, fu eretto in coincidenza esatta del luogo da dove partì Maniace alla volta di Costantinopoli. 

Così, nel 1126 ci pensarono due soldati sempre bizantini a restituire ai catanesi il maltolto. I loro nomi rispondo a quelli di Gisliberto e Goselmo, che rubarono i resti mortali della santa per consegnarli al vescovo di Catania, Maurizio. La restituzione avvenne al Castello di Aci, ovvero l’odierna Aci Castello, davanti a devoti di diverse fedi, segno questo che in quel frangente storico il nome di Agata facesse da collante interculturale tra i vari gruppi etnici presenti nel territorio. Soltanto il 17 agosto dello stesso anno, avviene il rientro delle reliquie al Duomo di Catania.

Secondo la leggenda, quel fatto avvenne di notte, tanto che la popolazione, svegliata dal suono delle campane in festa, avrebbe accolto Agata in abiti da letto. Da lì deriverebbe la tradizionale veste bianca indossata dai devoti durante i festeggiamenti sia di febbraio che di agosto. Tuttavia, tale interpretazione non trova alcun riscontro storico. Secondo gli studiosi, prima della seconda metà del XVII secolo, le processioni per la santa erano seguite esclusivamente dagli “ignudi”. Ovvero, da devoti che portavano soltanto una tovaglia attorno al bacino e andavano in giro con i piedi scalzi per chiedere il perdono dei propri peccati. In fondo, si tratta di una prassi assai diffusa, allora ma anche successivamente, nella religiosità popolare meridionale.

Dopo di ché, faranno il loro ingresso nella festa l’abito e i guanti bianchi, il cordoncino per cingere i fianchi e il tradizionale cappello in velluto nero, colori che hanno un chiaro riferimento biblico alla pratica della penitenza. Non si tratta affatto, quindi, come pensano maldestramente i catanesi più orgogliosi, di un richiamo all’Etna innevata e alla sua vetta ricolma di cenere. Tutt’altro. Ma va bene lo stesso.

 


Partecipa al dibattito: commenta questo articolo

Segui LiveSicilia sui social


Ricevi le nostre ultime notizie da Google News: clicca su SEGUICI, poi nella nuova schermata clicca sul pulsante con la stella!
SEGUICI