Colpisce profondamente e preoccupa, inutile girarci intorno, il violento scontro in atto tra la magistratura e i palazzi del potere romano.
Uno scontro che non possiamo giudicare superficialmente o secondo i colori politici di ognuno. Le tifoserie non aiutano, anzi, avvelenano l’aria che si fa sempre più irrespirabile.
Forse siamo arrivati dinanzi alla rivelazione plastica di ciò che siamo o siamo diventati nonostante il forte impianto costituzionale di cui teoricamente siamo dotati ma che evidentemente non riesce più a tenere insieme con i suoi solidi principi il Paese, la comunità civile e, soprattutto, non riesce a regolare il rapporto tra i poteri dello Stato.
Non sappiamo immaginare una scala di valori attraverso la quale costruire, nella diversità delle culture politiche esistenti e della naturale dialettica tra gli schieramenti e i ruoli di maggioranza e opposizione, l’indispensabile unità di fondo di una nazione che non dovrebbe registrare divisioni di tale inaudita gravità.
La ‘levata di scudi’
Dopo la levata di scudi dei magistrati contro il testo di legge governativo sulla separazione delle carriere, considerata una pericolosa deriva verso la subordinazione del potere giudiziario a quello politico (nella foto la protesta per l’anno giudiziario), assistiamo sgomenti, in queste ore, a una drammatica crisi tra governo e Procura della Repubblica di Roma che prende spunto dal rilascio, con accompagnamento a casa su un aereo dei Servizi italiani, di un noto generale libico accusato di essere un torturatore e uno stupratore, Osama Almasri, fermato dalla polizia italiana in esecuzione di un mandato di arresto emesso dalla Corte Penale Internazionale per crimini contro l’umanità.
Non solo, è ragionevole prevedere un ulteriore inasprimento a seguito della decisione dei giudici della Corte di Appello di Roma: accade per la terza volta, di non convalidare i trattenimenti dei 43 migranti rinchiusi da pochi giorni nei centri costruiti dall’Italia in Albania.
Lasciamo agli articoli di cronaca il merito delle due questioni. Ciò che qui ci interessa evidenziare è piuttosto il clima infuocato, una sorta di impazzimento, in cui ci ritroviamo che rischia di condizionare pesantemente la normale dinamica politica e istituzionale in un sistema democratico quale è o dovrebbe essere il nostro.
Il Parlamento e gli slogan
Ormai il Parlamento non appare, di fatto, il luogo costituzionalmente deputato a rappresentare il cuore pulsante del Paese e della nostra democrazia. Tutto si svolge al di fuori, sui mezzi di comunicazione e specialmente sui social.
Temi delicati come le guerre in Ucraina e a Gaza, l’immigrazione, la sicurezza, l’ambiente, i diritti civili e sociali, le riforme costituzionali, l’etica pubblica, la libertà d’informazione non sono affrontati secondo le categorie della riflessione, dell’approfondimento, del rispetto istituzionale tra le parti in campo nell’intento di preservare l’interesse collettivo a un ordinato svolgimento, chiunque governi, della gestione della cosa pubblica.
Si preferisce solleticare le paure della gente per un tornaconto elettorale, si vuole il combattimento senza esclusione di colpi, compresi quelli sotto la cintura e alle spalle dell’avversario.
I partiti generalmente ormai non garantiscono la pluralità delle idee, divenendo o le corti personali del leader o un miscuglio di correnti e fazioni. Occorre fermarsi e riportare il dibattito politico, magari aspro, sui binari della correttezza istituzionale e dei contenuti.
Sarà complicato considerato il quadro politico attuale. Rimane, nel caos imperfetto, il faro di equilibrio, saggezza e amore per la nostra Costituzione incarnato dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella.