Sviluppo Italia, parlano i lavoratori: | "Non siamo un carrozzone" - Live Sicilia

Sviluppo Italia, parlano i lavoratori: | “Non siamo un carrozzone”

Conferenza stampa dei 76 dipendenti che non accettano die ssere considerati come una delle tante società partecipate della Regione: "La nostra storia è diversa".

PALERMO – Il buco nel bilancio di Sviluppo Italia Sicilia, società partecipata della Regione Siciliana, ammonta a un milione e ottocentomila euro. Per questo disavanzo il governo Crocetta l’ha inserita nella lista delle Partecipate che, per via delle perdite di bilancio, dovranno essere chiuse. Ma i 76 dipendenti non ci stanno, non accettano che la loro azienda venga considerata alla stregua di altre società partecipate. “La nostra storia è diversa – dice Alessandro Collura – non siamo nati con un tratto di penna su un foglio come tante altre società. Siamo aperti dal 1999, dipendevamo dal governo di Roma, e la Regione Siciliana ci ha acquistato soltanto nel 2008”. E da allora, secondo i lavoratori – tutti dello stesso livello, in quanto non esistono dirigenti in pianta organica – sono iniziati i problemi, soprattutto per una serie di “atti mancati” del Governo regionale, a cominciare dalla mancata attuazione del Piano di riordino delle partecipate che avrebbe permesso a Sviluppo Italia Sicilia di essere integrato a Irfis FinSicilia s.p.a, così come avallato anche dalla Corte dei Conti.

I dipendenti adesso puntano il dito contro il disinteresse della Regione ma soprattutto contro la decisione del governo di far svolgere alla società il lavoro di assistenza tecnica per gli assessorati per l’attuazione dei programmi finanziati con fondi comunitari. “Le tariffe con cui lavoriamo per la Regione sono troppo basse, non rappresentano il reale costo del lavoro”, spiega Alessandra Scaccia. “Sviluppo Italia Sicilia, infatti – scrivono in un documento i 76 – non gode di finanziamenti sul bilancio regionale, non ha un contratto di servizio con l’amministrazione regionale, ma deve sottostare all’applicazione di tariffe anti-economiche che non coprono i costi generali, secondo i più elementari principi di contabilità industriale”. Tra l’altro, i 76 dipendenti non godono di benefit, non hanno telefoni o mezzi aziendali, nonostante per questo incarico regionale il loro lavoro si svolga principalmente fuori dagli uffici.

“Non potevamo che perderci in questo servizio. Lo abbiamo denunciato più e più volte, anche nelle audizioni in commissione all’Ars – attacca Collura – ma qui in Sicilia finché non si vede scorrere il sangue non si agisce. Fino a che prendevamo uno stipendio non ci ascoltavano. Adesso che siamo a un passo dalla chiusura qualche riflettore si è acceso, ma è ancora troppo poco”. “Non si può morire perché siamo in 76 e non in 3.006”, dicono.

La stanza in cui si svolge la conferenza stampa organizzata dai dipendenti della società è piena di imprenditori, più o meno giovani, che hanno dato vita alle proprie attività grazie ai finanziamenti di Sviluppo Italia Sicilia. Molti sono preoccupati perché la chiusura della società interromperà la consulenza di cui molte start up stanno usufruendo nell’avvio delle proprie attività, costringendoli alla chiusura. “Questa società non è composta soltanto da 76 dipendenti, ma con loro ci sono anche tutti gli imprenditori e i dipendenti delle aziende che sono nate grazie al lavoro di Sviluppo Italia Sicilia”, dice Sergio La Scala, che a Catania ha avviato una attività di produzione di materiale plastico.

“In Sicilia ormai – dice Sergio Amato, imprenditore – l’unico modo per lavorare è l’autoimpiego, quindi non si può lasciare chiudere una società che aiuta e accompagna in questo percorso”. Sono oltre 17 mila le nuove imprese che sono nate per mezzo degli strumenti finanziari gestiti da Sviluppo Italia Sicilia, con contributi erogati per quasi 18 milioni di euro soltanto a persone in cerca di occupazione. Parte dei prestiti vengono concessi a fondo perduto e il resto da restituire con tassi agevolati; e senza la produzione di garanzie reali: i finanziamenti arrivano sulla base della valutazione del solo business plan, dell’idea creativa insomma. Un nome su tutti: Mosaiccon, l’azienda hi-tech che il premier Matteo Renzi è andato a visitare durante una delle sue visite in Sicilia.

Alla conferenza stampa hanno partecipato anche i rappresentanti sindacali. “Sviluppo non è una parola spot messa nel nome della società – ha detto Gino Ridulfo, della Cgil – ma è il cuore della mission di questa società, che è utile non soltanto a pagare gli stipendi di 76 dipendenti, ma è utile alla società. Come faranno i siciliani ad accedere a questi fondi nazionali e comunitari se chiudiamo Sviluppo Italia Sicilia?”. “I siciliani non potranno che essere svantaggiati rispetto ad altre regioni d’Italia”, spiega Alessandra Scaccia.

“Non possiamo che provare un moto d’indignazione per il modo in cui la politica siciliana continua a trattare il mondo del lavoro a cui invece Sviluppo Italia Sicilia ha dato tanto – ha detto Piero Cucuzza, della Fiba Cisl. – È evidente ormai a tutti che questo governo regionale non ha una strategia per il lavoro, ma finora si è mosso soltanto sulla base di interventi spot, che vanno bene per l’ordine pubblico, ma non per lo sviluppo e la crescita”.

Salvo Patti, della Uilca Sicilia, ha annunciato che l’assessore per l’Economia Alessandro Baccei ha assicurato che “ai primi gennaio incontrerà i rappresentanti sindacali per trovare una soluzione per Sviluppo Italia Sicilia”. “Non si capisce – dicono Patti e Ernesto Barba, rsa di Sviluppo Italia Sicilia – come si trovino 11 milioni per gli ex detenuti e non si trova una soluzione per una società che ha un buco di poco meno di due milioni di euro”.

In sala, tra i lavoratori, soltanto un rappresentante della politica siciliana: il parlamentare regionale del Pd, Fabrizio Ferrandelli.  “Non comprendere che il destino di Sviluppo Italia Sicilia non riguarda gli stipendi dei 76 professionisti che vi lavorano, ma il futuro di migliaia di micro imprese e di giovani siciliani che hanno idee e vogliono inventarsi il lavoro avvalendosi dei servizi, della professionalità dell’azienda in questione, è la dimostrazione che non c’è una strategia per lo sviluppo della Sicilia e, ancor più grave, per il futuro dell’Isola”, ha detto il deputato del Pd.


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