PALERMO – Sono i tasselli di un puzzle di sangue e orrore. I carabinieri li hanno messi uno accanto all’altro. E hanno scoperto che le voci frammentarie captate per le strade del quartiere ricostruirebbero le fasi dell’agguato costato la vita a Mirko Sciacchitano. Lo hanno ucciso come un boss perché la sua morte doveva servire da esempio per tutti. Sarebbe stato punito per una colpa giudicata gravissima dal Tribunale di Cosa nostra: avere partecipato all’agguato di qualcuno che aveva protezioni importanti. Protezioni mafiose. C’è chi lo considera una vittima innocente, un bravo ragazzo, che ha pagato con la vita un’ingenuità.
Così due mesi dopo il delitto ricostruirono il caso i carabinieri del Ros e del Nucleo investigativo del Comando provinciale. Il loro lavoro era condensato nel fermo disposto dai pubblici ministeri Sergio Demontis, Francesca Mazzocco e Gaspare Spedale. Salvatore Profeta e Natale Gambino sarebbero gli ideatori e i mandanti del delitto (entrambi erano stati condannati all’ergastolo per la strage di via D’Amelio e scagionati dopo un decennio di galera. Fu un errore giudiziario. Profeta in carcere c’è tornato nel 2014); gli esecutori materiali sarebbero Francesco e Gabriele Pedalino, Domenico Ilardi e Antonino Profeta (figlio di Salvatore, e arrestato pure lui a metà novembre scorso); Lorenzo Scarantino avrebbe fatto i sopralluoghi alla ricerca della vittima e sarebbe stato lui a comunicare ai due presunti mandanti la buona riuscita della missione di morte. Nel suo caso, però, al momento l’ipotesi non ha retto, l’arresto è stato annullato ed è stato scarcerato.
La macabra cronaca inizia venti minuti dopo le 16 del 3 ottobre 2014. Due uomini a bordo di uno scooter Sh 300 di colore bianco arrivano al civico 4 di via dell’Allodola. Hanno il volto coperto dai caschi integrali. Uno dei due fa fuoco contro Luigi Cona, titolare della rosticceria “al Bocconcino”. Lo colpiscono alle gambe. I carabinieri lo interrogano all’ospedale Civico. Cona racconta di essere rimasto vittima di una tentata rapina. Hanno fatto fuoco dopo il suo rifiuto di consegnargli i soldi. Inutile cercare altre testimonianze: nessuno ha visto né sentito qualcosa.
A fare fuoco contro Cona sarebbe stato Francesco Urso, mentre alla guida dello scooter con cui Urso entrò in azione c’era Mirko Sciacchitano.Alle 19.40 dello stesso giorno scatta la ritorsione. Tre uomini incappucciati giungono a bordo di una Panda di colore rosso in via della Conciliazione, all’angolo con via della Concordia. Sciacchitano si trova davanti a un’agenzia di scommesse. Tenta di scappare assieme ad un amico diciassettenne che ha la sfortuna di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato. La fuga dura poche centinaia di metri. Mirko viene raggiunto da una pioggia di fuoco. L’amico se la caverà nonostante un proiettile gli si è conficcato nella pancia.
Il primo episodio che fa collegare l’omicidio tentato con quello eseguito avviene alle 16.29, quando un giovane a bordo dello scooter di Cona, che è stato appena ferito alle gambe, raggiunge Antonino Profeta davanti a una friggitoria. Nel giro di pochi minuti sul posto giungono a bordo di un’Audi Q3 e di una Smart Domenico Ilardi e i due Pedalino. Poco dopo tocca a Salvatore Profeta e Natale Gambino. Quindi Gambino si sposta e raggiunge Giuseppe Greco nella macelleria Carni Doc di via Albiri. Alle 18 .41 le cimici captano una conversazione decisiva. “… tu scinni e ci spari… tu rincapu… prima i cuosci… prima viennu i cuosci…”, dicono Profeta e Gambino. “Lo so…”, risponde Francesco Pedalino.
L’audio è molto disturbato. Gli interlocutori parlano fuori dalla macchina. Si tratta della Polo di Antonino Tinnirello, finita sotto intercettazione. Alle 19.06, nelle vicinanze della friggitoria viene notato il transito di una Panda di colore rosso. A bordo vi sono Ilardi, Antonino Profeta e Lorenzo Scarantino. Poco dopo negli audio finiscono di nuovo le parole di Gambino che dà indicazioni sulla strada da percorrere: “… ce ne scendiamo dalla via Oreto e prendiamo la strada di via Fichidindia… cammina piano nelle corsie Nino… che di là ci spuntano macchine cose… motori”.
Alle 19.42 le microspie installate a bordo della Polo captano uno, due, tre, una raffica di rumori sordi. Sono i colpi di pistola sparati per uccidere Sciacchitano, dicono oggi gli investigatori. La macchina viene localizzata in via Oreto nei pressi dell’incrocio con via dell’Orsa minore, ad un centinaio di metri dal luogo del delitto. Fuori sparano, dentro la macchina regna il silenzio. Poi mettono in moto e vanno via. E Profeta inizia a cantare la canzone “Volare”.
La notizia della morte di Sciacchitano si è sparsa. Urso teme per la sua vita e si rifugia dalla nonna. Ha già un’idea chiara di cosa sia avvenuto: “… sono quattro crastazzi nonna… non è che una cosa che chi è stato è andato a toccare a lui…non… perché qual è… cioè io questo è quello che dico, capito?… è solo che loro hanno, hanno tanta quella voglia di ammazzare a qualcuno, di farsi sentire…dice, ora l’hanno capito tutti che… che devono sentire tutti a noialtri e non devono sbagliare più. Ma c’è bisogno di ammazzare…”.
Qualche giorno dopo deciderà di partire per Civitavecchia. Intanto a un altro parente fa capire di sapere chi ha ucciso Sciacchitano: “… hanno fatto una cosa… si sono messi l’acqua dentro con questo omicidio che hanno fatto, hanno finito di cucinare… fatalità va a combaciare che mi cercano pure a me… ci sarà qualche intercettazione, praticamente dall’intercettazione, dobbiamo ammazzare pure a lui per dire a quel cornutazzo, parlando di me… qua prendono l’ergastolo facile”.
Urso è rammaricato. Schacchitano non doveva morire: “Dovete ammazzare a me, cioè non c’entra niente che dovete ammazzare a quel picciotto… che c’entra che se la prendono con quello… ma quello è stato pure un ragazzo ingenuo… perché a lui non ce lo porta nessuno pure, te lo giuro vero. Lui la situazione…lui neanche doveva venire, non ce lo porta nessuno… dice, andiamo vengo io, vengo io e mi sono fatto convincere diciamo così, perché è un bravo ragazzo, bravo, bravo, onesto e bravo”.
Il 2 novembre i carabinieri registrano quella che definiscono la chiusura del cerchio investigativo. Luigi Cona, ancora claudicante e con una stampella per via del ferimento, incontra Profeta, Scarantino e Francesco Pedalino. “U Bocconcino… ti ha portato lo champagne”, diceva Pedalino. Dovevano festeggiare.