Un fisco più giusto? | La strada è lunga - Live Sicilia

Un fisco più giusto? | La strada è lunga

Norme complesse, tasse alte e mancanza di fiducia: così nasce il senso di ingiustizia.

Con l’articolo di oggi diamo il benvenuto, nella sezione delle “Idee” di LiveSicilia, al tributarista Alessandro Dagnino: ci parlerà di fisco, tasse e tributi. Per aiutare tutti noi a capirne un po’ di più.

La cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario tributario 2019 in Sicilia, celebratasi lo scorso sabato 6 aprile, offre l’occasione per formulare alcune considerazioni sulla giustizia del nostro sistema fiscale.

In quella sede è stata giustamente definita “mostruosa” la pendenza di ricorsi in Sicilia, pari a 125.183, tra primo e secondo grado. La Commissione tributaria regionale siciliana è risultata essere la prima in Italia per numero di nuovi appelli pervenuti nel 2018, ben 9.655, contro i 5.293 della più grande ed economicamente sviluppata Lombardia.

È stato osservato che l’elevata litigiosità fiscale può essere il sintomo di un uso distorto del contenzioso da parte dei contribuenti per finalità dilatorie, anche con riferimento a controversie di modesto valore.

La litigiosità mi sembra possa anche essere legata alla percezione di ingiustizia che il nostro sistema fiscale tende a ingenerare nel contribuente. Tra i numerosi elementi che contribuiscono a questa percezione, alcuni possono essere qui brevemente richiamati.

In primo luogo, la complessità delle norme.

Ciò che non viene compreso può generare sospetto; quindi, il contribuente che si trova di fronte a una pretesa fiscale formulata sulla base di norme astruse, potrebbe sospettarne l’infondatezza. E questo lo induce a contestarla davanti al giudice tributario.

La complessità delle norme è problematica anche per l’Amministrazione che deve applicarle e i frequenti casi dubbi la spingono a coltivare le liti anche oltre il primo grado di giudizio. Dai dati divulgati nel corso della cerimonia emerge che, in effetti, dei 9.655 appelli pervenuti nell’ultimo anno, 5.022 (pari al 52% del totale) sono proposti dall’Ufficio e solo 4.633 (pari al 48%) dal contribuente. Questo significa che, nella maggior parte dei casi giunti in appello, i ricorsi dei contribuenti siciliani erano stati ritenuti in primo grado totalmente o parzialmente fondati.

In secondo luogo, l’elevata pressione fiscale.

Aristotele, nell’Etica nicomachea, definiva il “giusto” come una via di mezzo tra il troppo e il troppo poco. La pressione fiscale in Italia appare generalmente eccessiva e come tale ingiusta.

Questo spinge i contribuenti – non soltanto coloro che avrebbero qualcosa da nascondere, ma anche e soprattutto quelli in buona fede – a utilizzare i rimedi previsti dalla legge e dalla Costituzione per contestare l’attività di imposizione, ivi incluso il processo.

In terzo luogo, la mancanza di fiducia.

Il sistema tributario è intriso di numerose presunzioni di infedeltà, di fronte alle quali il contribuente è chiamato a fornire prova contraria, peraltro in molti casi dopo che la pretesa impositiva sia stata già formalizzata a suo carico da parte dell’Amministrazione.

Fornire questa prova non è sempre agevole e la valutazione degli elementi addotti dal contribuente è rimessa a un margine di apprezzamento piuttosto ampio da parte del giudice tributario, che – non essendo ammesse nel processo prove testimoniali – può trovarsi costretto talvolta a decidere in base a meri criteri di verosimiglianza delle tesi delle parti del giudizio.

Presunzioni e incertezza alimentano il senso di ingiustizia percepita dai contribuenti, che nel caso di soccombenza tendono a proseguire le controversie sino all’ultimo grado di giudizio, nella speranza di ottenere una diversa valutazione della loro condotta fiscale.

Se quanto osservato è vero, allora, per ridurre l’ingiustizia fiscale, si dovrebbe semplificare il sistema,  ridurre la pressione fiscale, aumentare la fiduciaCoerente con i primi due obiettivi sembra l’intenzione del governo nazionale di ampliare l’applicazione della flat tax. L’imposta piatta, infatti, è per sua natura semplice e il suo ammontare massimo è chiaramente contenuto entro il valore dell’aliquota unica.

Questo tipo di imposta non è necessariamente proporzionale, ma può essere “informato a criteri di progressività”, come richiesto dall’articolo 53 della Costituzione italiana, attraverso il meccanismo delle detrazioni. La comprensione di questo meccanismo dovrebbe consentire di superare le resistenze di chi, all’interno della compagine governativa, sembra guardare con sospetto alla flat tax, ritenendola scarsamente redistributiva. L’effetto redistributivo può, infatti, essere ottenuto tramite l’opportuna modulazione delle detrazioni.

La flat tax introdotta con l’ultima legge di stabilità, però, non possiede ancora carattere strutturale, ma è una mero regime agevolativo, applicabile in sostituzione dell’Irpef soltanto da alcune categorie di contribuenti. Molto, quindi, sotto questo aspetto, resta ancora da fare.

Quanto all’obiettivo della fiducia, gioverebbe istituire per legge il diritto del contribuente di essere sempre sentito prima che venga formulata una pretesa a suo carico (il cosiddetto diritto al contraddittorio preventivo). Occorrerebbe inoltre riformare l’utilizzo delle presunzioni, perché presunta dev’essere la buona fede, non l’infedeltà fiscale.

I mezzi di prova a disposizione del contribuente dovrebbero, poi, essere ampliati, consentendo la prova testimoniale, pur rimettendo al prudente apprezzamento del giudice la sua ammissibilità caso per caso, allo scopo di evitare richieste dilatorie.

A fronte di queste “concessioni” del legislatore, per i contribuenti che dimostrano di non meritare la maggiore fiducia in essi riposta potrebbe essere prevista una più larga applicazione – rispetto a quanto non avvenga oggi – delle sanzioni limitative dello svolgimento dell’attività economica, che sono certamente più temute di quelle pecuniarie.

Sono soltanto alcune idee. Ancora lunga sembra la strada per un fisco più giusto.


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