Un punto strappato| ai cavallucci e...all'arbitro - Live Sicilia

Un punto strappato| ai cavallucci e…all’arbitro

In mezzo alle difficoltà riscontrate dai rosanero nella trasferta di Cesena c'è sicuramente quella che riguarda le decisioni prese dal fischietto Merchiori di Ferrara. Ma questo Palermo è più forte anche delle errate scelte arbitrali.

Il processo al Palermo
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PALERMO – Tranquilli, ragazzi, lo so per certo: non lo fanno apposta, sono solo scarsi. Gli arbitri della serie B, nella loro stragrande maggioranza, sono scarsi. E quello di ieri, a Cesena, Merchiori di Ferrara, era più scarso perfino di quello di Carpi, quel tal Candussio, bersaglio il giorno dopo di sospetti ed illazioni quanto meno imbarazzanti. Ma ieri, almeno, abbiamo strappato un punto: all’avversario, molto agguerrito e … all’arbitro. Il quale, però, non se n’è fatta mancare una: al 33’ del primo tempo ha ammonito Lazaar per un intervento di testa, assolutamente di routine. Esagerato, si pensò subito, specie da parte rosanero, ma, si sa, gli arbitri vogliono fare i duri per riportare l’ordine in campo, tipo: “Qui comando io e guai a chi sgarra!”. E, quindi, si tirò avanti: questa insieme alle altre, si pensò. Solo che, pochi istanti prima, per una violenta capocciata subita da Morganella, con tanto di testa spaccata e sangue che fluiva a fiotti, lui non si stesse limitando che a fischiare la punizione.

Gli si era dovuto avvicinare Maresca – che in serie B rappresenta quello che a scuola per noi ragazzini rappresentava il più bravo della classe – per suggerirgli dappresso il da farsi. Solo allora, il prode Merchiori, confermando tutta la sua capacità decisionale, tirava fuori il cartellino giallo. No, non quello rosso che noi tutti, tifosi e non ci aspettavamo, ma solo il giallo. Ora io mi domando e dico: se per una testata da niente Lazaar doveva essere sanzionato alla stessa, identica stregua della cruenta capocciata inferta dal terzino cesenate sulla povera zucca di Morganella. E mi son dato subito la risposta di cui sopra (“Non lo fanno apposta, sono solo scarsi”), con un pensiero molesto di traino: vuoi vedere – mi son detto – che questo qui, al secondo fallo di Lazaar, magari più marchiano, lo spedisce negli spogliatoi e noi restiamo in dieci? Giuro che l’ho pensato subito, avendo già captato i limiti “sensoriali” del giudice di gara, che sembrava più disposto a far sommaria giustizia che a dirigere una semplice, seppur rovente partita di calcio. E l’ho pure detto a voce alta – come si fa con i pensieri molesti, che come tarli ti rodono l’anima – ai miei compagni di ventura con i quali seguo il Palermo davanti alla tv. Quelli si sono indispettiti e mi hanno intimato, tutti in coro, di farla finita, giungendo perfino ad una sorta di blasfemia, per un tifoso del mio rango: “L’ha finiri ‘i purtari attassu!”.

Roba meritevole di immediate ritorsioni, vista l’offesa bruciante che mi avevano rivolto, tipo: “Ah, accussì a pinsati?… Alluta itivilla a viriri e vostri casi a partita!”. Ma ho taciuto, sperando dentro di me di avere avuto per una volta un’intuizione sbagliata. Ma è durata poco, perché al 34’ il marocchino, che è forte ma è pur sempre un ragazzo tutto da formare, interviene a gamba alta su D’Alessandro, è gioco pericoloso e l’arbitro non è certo tipo da lasciarsi sfuggire certe occasioni, lui che è un duro e semina il terrore dentro il rettangolo verde. Si precipita di corsa verso il reprobo e ha già il braccio alzato e il cartellino giallo in mano. Appena arriva a contatto con Lazaar, tira fuori dal taschino il rosso e con gesto perentorio lo caccia fuori. Risultato: tre quarti di partita da disputare in 10 contro 11. Mi sento addosso tutti gli occhi dei miei compagni di ventura, alcuni sembrano frecce avvelenate, mi giro e sto per dire: “Ve l’avevo detto…”, ma mi fermo in tempo perché, nel momento del dolore, infierire ribadendo la verità non è la mossa giusta.

Dico solo: “Tranquilli, ragazzi: ce la faremo lo stesso, la squadra è unita, nessuno si tirerà indietro. Basterà un’aggiustatina tattica per coprire il vuoto lasciato nella fascia da Lazaar”. E Iachini, non subito, ma dopo una decina di minuti (“Perché – spiegherà poi a microfoni Sky accesi – non volevo arretrare troppo presto il raggio d’azione della mia squadra”) sostituisce Vasquez con Daprelà: la mossa più logica, dovendo in qualche modo tentare di contenere la furia scatenata del velocissimo D’Alessandro, il più insidioso degli avversari: dal suo piede partivano tutte le azioni d’attacco del Cesena, con le quali aveva già duramente messo alla prova il duo Lazaar-Vasquez, saltandoli ad ogni dribbling e puntando sempre verso il fondo per i suoi micidiali cross arretrati. Sui quali avevano tentato la via della rete prima Volta e poi Marilungo, ma Sorrentino era stato perfettamente all’altezza della situazione.

Questo, prima dell’espulsione di Lazaar, ma dopo, noi tutti si pensava, cosa potrà succedere, in 10 contro 11? E mancava ancora più di un’ora di partita? Ma finiva il primo tempo e già si vedeva che il Cesena non riusciva più neanche ad entrare nell’area di rigore rosanero. Perché? Perché il Palermo, pur in inferiorità numerica ( o proprio per questo) aveva rinserrato le file, giocando sempre da squadra, con una grinta, uno spirito di sacrificio; insomma, quel tutti per uno e uno per tutti, su cui si basa la gran parte delle vittorie nel calcio. Se c’è la giusta voglia di lottare suo ogni pallone, su ogni centimetro di campo, anche in 10 contro 11 ce la possiamo fare e questo Palermo, pur con tutti i suoi limiti estetici, finché manterrà questa forza mentale (e d’animo) nessuno potrà fermarlo nella sua rincorsa verso la serie A.

Neanche quei sapientoni, criticoni, incontentabili, raffinatissimi intenditori di calcio e, nella fattispecie, di calcio rosanero, che continuano a seminar zizzania, dicendo che giochiamo male e quindi non ce la meritiamo la testa della classifica. E a sostegno della loro ardita tesi rievocano i bei tempi andati della serie A conquistata nel 2004 con giocatori d’eccellenza come Corini, Zauli, Toni, i fratelli Filippini, Grosso, non capendo che, così facendo, si danno la zappa sui piedi, perché il Palermo attuale non è nemmeno parente lontano di quello, ma solo una buona, buonissima squadra.

Il resto – cioè la testa della classifica, sei punti di distacco sulla terza, vincere pur giocando male e non perdere partite come quella di Cesena – è solo merito di Iachini, che di un gruppo anomalo di giocatori, selezionato da altri e per un altro sistema di gioco, è riuscito in pochi mesi a fare una squadra vera, un gruppo forte e unito come le dita di una mano chiusa in un pugno. E tutto ciò senza fronzoli e svolazzi, ma soltanto – com’è indispensabile in serie B – sputando sangue su ogni pallone, senza arrendersi mai. Che poi gli avversari magari giochino meglio e poi, però, non riescono a batterlo, è un altro discorso. Uno di quelli che li fa uscir di senno, vedi Beretta del Siena o Castori della Reggina o, infine, il Bisoli del Cesena, che ieri ha blaterato di “due punti persi dal suo Cesena e di dominio assoluto sul Palermo, che non si è mai reso pericoloso”.

Dimenticando, però, di aver giocato più di un’ora in superiorità numerica e, ciò nonostante, non esser stato capace di fare un solo tiro verso la porta difesa da Sorrentino. Ma questo è il calcio di serie B, chiacchiere e distintivo, direbbe Al Capone, cioè pensieri e parole a ruota libera, senza nessun rispetto non solo per i fatti ma neanche per l’avversario. Per il collega, spesso sbertucciato fra le righe di un discorso, tipo Beretta del Siena che disse che il Palermo era arrivato al “Franchi” mascherato nei passamontagna e aveva rapinato la vittoria con la complicità dell’arbitro. Roba da codice, non solo e tico-deontologico. Il giorno dopo Beretta si scusò. E lo fece verso tutti, tranne che verso chi doveva: il Palermo e Iachini.

p.s. E sabato ci tocca affrontare, senza Lazaar e soprattutto senza Maresca, un avversario rognoso come lo Spezia dell’ “ex” Mangia, che a parole dice di esser grato a Zamparini e al Palermo per l’occasione a suo tempo offertagli, ma che in realtà pagherebbe di tasca pur di fargli un dispetto. E allora io dico, anzi grido ai tifosi: c’è occasione migliore di questa, sabato prossimo, di far ridiventare il “Barbera” la Santabarbara che era una volta?


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