I verbali di Brusca: "Gli appalti a Catania, Palermo e la mafia"

I verbali di Brusca: “Gli appalti a Catania, Palermo e la mafia”

Le rivelazioni agli atti del processo sull'ospedale Garibaldi

CATANIA – “Intendo rispondere”. È il 23 luglio del 1999, Giovanni Brusca si siede davanti al Pm etneo Nicolò Marino che sta indagando sulle infiltrazioni mafiose negli appalti pubblici. Cerca informazioni su un colletto bianco che possa collegare Catania con Palermo e Agrigento.

Brusca fa nomi e cognomi forte delle sue conoscenze: con il boss catanese Vincenzo Aiello, Brusca gestiva kalashnikov, bazooka e bombe a mano, armi da guerra utilizzate da Cosa nostra per stragi e omicidi.

Ma l’odore dei soldi lo portava verso i lavori finanziati dallo Stato.

Brusca, i verbali nell’inchiesta catanese

Siamo nel 1999. In ballo ci sono appalti del valore di miliardi di lire, la casa dello studente di Catania, l’ospedale Garibaldi e importanti commesse pubbliche a Palermo.

Brusca mette nero su bianco un nome chiave, quello di Carmelo Milioti: “Lo conosco da diversi anni, esattamente dagli inizi degli anni ’80. Con Milioti condividevo la passione per le auto da corsa, Fu Angelo Siino a presentarmelo”.

Appassionato d’auto, Milioti mentre Brusca parla è considerato, anche dal pentito Maurizio Di Gati, come un imprenditore in grado di aprire le porte, per entrare negli appalti catanesi, all’imprenditore Vincenzo Randazzo della Cogeco. Nel 2003 Milioti sarà ucciso con un colpo di lupara in un salone da barba, 11 anni dopo, nel rally di Favara spunterà – tra le polemiche – un premio alla sua memoria.

Ma nel 1999 quel nome, messo sullo scacchiere degli appalti, serve agli inquirenti per capire come si muove la mafia.

Milioti e gli appalti palermitani

“Milioti, pur non essendo formalmente affiliato a Cosa nostra – dice Brusca – ne era autorizzato a spendere il nome nella zona dell’Agrigentino. Angelo Siino utilizzava Milioti al fine di prendere contatti con le imprese o con uomini politici per ottenere finanziamenti”. Milioti veniva “cercato” anche dagli imprenditori, per la ‘messa a posto’.

Siino, di cui parla il pentito, era considerato il ministro dei lavori pubblici di Cosa nostra.

Non solo Agrigento, la ragnatela arrivava a Palermo. “Allorché dovevamo iniziare una serie di lavori pubblici banditi dall’amministrazione provinciale palermitana, il Siino venne autorizzato da Cosa nostra a servirsi dell’aiuto di Carmelo Milioti, infatti alle varie gare bandite dalla Provincia, partecipavano anche imprese dell’agrigentino, i rapporti con le quali venivano appunto gestiti da Milioti”.

Sangue e mafia

Dopo l’uccisione del boss Antonio Di Gioia ad Agrigento, a cavallo delle stragi, Brusca accresce il suo potere mafioso. Non solo omicidi, contatta Totò Riina per nominare i reggenti, tra i quali c’è Salvatore Di Gangi, uomo di fiducia che finisce agli arresti e poi viene scarcerato. “Io – spiega Brusca – utilizzavo Carmelo Milioti per tenere i contatti con il Di Gangi…certamente avevano rapporti con uomini politici”.

Gli altri contatti tra palermitani e catanesi

Brusca parla anche dei rapporti tra i Lo Piccolo di San Lorenzo e i catanesi, in particolare i Riela, famiglia alla guida di un colosso degli autotrasporti poi confiscato.

“I Riela erano quelli che gestivano gli autotrasporti di Città Mercato e che proprio alla famigliia di San Lorenzo portavano il pizzo che spettava ai palermitani. All’inizio di tali rapporti, fra i responsabili della famiglia di San Lorenzo, vi era Salvatore Biondo, detto ‘Il Lungo’ e successivamente il vertice della famiglia venne ed è rappresentato da Salvatore Lo Piccolo che, per quanto è a mia conoscenza, mantiene lo stato di latitante”.

Era il 1999, poi la giustizia ha fatto il suo corso. E adesso Brusca è tornato in libertà.


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