Il superconsulente Gioacchino Genchi racconta “la sua verità” in un libro di cui proponiamo qualche tema scottante. Un libro che susciterà polemiche. Livesicilia non sposa quelle tesi a prescindere e ricorda che le persone chiamate in causa sono estranee ai fatti, quando sono estranee, fino a prova contraria. Tuttavia, pensiamo che sia utile comununqe far conoscere quelle ipotesi all’opinione pubblica, nel rispetto di un legittimo contraddittorio, anche per una più compiuta valutazione della persona che le sostiene. Genchi sostiene, per esempio, di avere trovato nell’inchiesta “Why not” gli stessi personaggi su cui aveva indagato per la strage di via D’Amelio. Quelle persone su cui si sarebbe stretto il cerchio dell’indagini, attorno al Castello Utveggio, nel ’92 sede del Cerisdi ma anche, secondo alcuni, base coperta del Sisde, “smobilitata pochi giorni prima che l’indagine arrivasse lì, nel dicembre del ’92“.
“Io tutto mi sarei immaginato tranne che, dopo aver ritrovato in quest’inchiesta – racconta Genchi riferendosi a Why not – le telefonate del professor Sandro Musco, avrei ritrovato pure il terzo soggetto su cui, insieme appunto a Contrada e Musco, si erano concentrate le mie indagini mai concluse (..) sulla strage di via D’Amelio: perché si tratta di Vincenzo Paradiso. L’uomo in futuro leader della Compagnia delle Opere in Sicilia che stava al Cerisdi, le cui utenze risultarono in contatto con il boss stragista Gaetano Scotto, nel 1992. Ed è qui che l’indagine è stata bloccata senza che sapessi dove portava”. Di questo particolare Genchi avrebbe lasciato una relazione, parzialmente scritta.
Sandro Musco aveva un circolo all’interno del Cerisdi ma non è mai stato indagato. Gaetano Scotto è stato condannato per la strage di Via D’Amelio. Suo fratello Pietro – secondo le indagini condotte da Gioacchino Genchi – lavorava per la Sielte, le cui apparecchiature si trovavano nei pressi del Castello Utveggio e – secondo qualcuno – sarebbe il telefonista che intercettava il telefono di casa Borsellino. Contro di lui hanno parlato i pentiti Salvatore Candura e Antonio Scarano. Decisero di arrestarlo.
“Una cosa assurda – dice Genchi – avrebbe potuto forse portarci ben più avanti. Perché faceva avanti e indietro da via D’Amelio a sotto il Monte Pellegrino”. E continua, raccontando “un retroscena inedito” che coinvolge l’ex questore di Palermo, Arnaldo La Barbera. Un altro particolare tutto da verificare, visto che c’è solo la testimonianza di Genchi: “Litigammo tutta la sera e per buona parte della notte” racconta Genchi secondo cui c’erano stati altri “buchi” nelle indagini sulle stragi. “E ora – continua – l’arresto di Scotto per le confessioni di due personaggi improbabili come Candura e Scarantino che rischiavano di far naufragare l’inchiesta. Fu allora che La Barbera scoppiò a piangere – racconta Genchi – mi disse che lui sarebbe diventato questore e che per me era prevista una promozione per meriti straordinari. Non volevo e non potevo credere a quello che mi stava dicendo. Ma lo ripeté ancora. E ancora. E furono le ultime parole che decisi di ascoltare. Me ne andai sbattendo la porta. L’indomani mattina abbandonai per sempre il gruppo. E le indagini sulle stragi”.
Il superconsulente apre i suoi archivi raccontando, a suo modo, venti anni di indagini in Italia. Dalle stragi mafiose, alle “Talpe alla Dda”, il processo Dell’Utri, la vicenda Umts, i crac Cirio e Parmalat, lo spionaggio Telecom, l’origine e il declino di Tangentopoli. E “Why not” dove vent’anni di indagini parevano aver trovato un terreno comune. Lo scrittore milanese Edoardo Montelli ha raccolto le sue confidenze in un libro di quasi mille pagine, “Il caso Genchi”, dove il superconsulente dice la sua verità su tantissimi “buchi” nella storia d’Italia.