Com'è difficile fare | il sindaco a Palermo - Live Sicilia

Com’è difficile fare | il sindaco a Palermo

Due mesi dal trionfo di Orlando. Palermo è sporca, avvilita, prostrata. Un buon motivo per dare addosso al sindaco? No. Però...

Sono trascorsi più di due mesi dalla notte del trionfo di Leoluca Orlando. La cartolina di Palermo è impietosa. L’immondizia regna sovrana. Il fuoco di Bellolampo – brucia sempre sul bruciato – ha gettato molte persone nello sconforto e nella paura ed è simbolicamente il segno di una catastrofe che alimenta il sentimento dell’ineluttabile. Sulle pietre di Mondello, nell’ordalia dell’isola pedonale, si combatte l’ultima guerra santa tra due tipi umani inconciliabili di palermitano: colui che ama le camminate e la bicicletta e vorrebbe imporre il suo credo assoluto agli altri, colui che prende a macchina pure per andare alla toilette, pudicamente detta. Le nomine del sindaco hanno procurato più di un mal di pancia, tra uomini giusti e retti forse messi nel posto sbagliato e (pochi) giovani dalla dubbia competenza. L’appartenenza, o perlomeno l’area di riferimento, ha contato e conta nella scacchiera del potere di Palazzo delle Aquile. Così è sempre stato e così sempre sarà, d’accordo. Ma allora perché immaginare rotture e tracce discontinue, se la direzione non è mai ostinata e contraria?

Insomma, dopo il grande successo del Festino, dopo una amorevole luna di miele, possiamo scrivere che lo stellone del Professore e le speranze che aveva suscitato la sua elezione siano già fiochi o spenti? La risposta è no. Salvare Palermo è un’impresa disperata e non avrebbe senso scagliarsi contro il comandante al timone, soprattutto nell’interesse collettivo. Un malato terminale non si cura con l’aspirina o col decotto della nonna. Non sarà una semplice sindacatura a favorire “l’alzati e cammina” del Lazzaro panormitano. Eppure la responsabilità – che dovrebbe essere il primo strumento nel bagaglio di un cronista – non può mai sottrarsi alla necessità di una critica. Ed è in questi termini che scriviamo al sindaco e del sindaco. Sappiamo che ci vorrà un sovrumano sforzo generale per arrivare alla meta. Sappiamo, e in tutte le salse l’abbiamo scritto che sarebbe illusorio l’auspicio dell’arrivo di un salvatore – stregone o profeta poco importa – per trarre una città decomposta fuori dalla sua bara. Tuttavia è innegabile che in giro serpeggi una crescente delusione.

E la disaffezione dei palemitani è pericolosa. Non conosciamo mezze misure tra l’altare e la polvere. Siamo sadici e masochisti. Divoriamo gli idoli che noi stessi abbiamo fabbricato: esattamente il contrario di un corretto approccio a una situazione che è eufemistico definire problematica. La critica, sì. Leoluca Orlando fin qui ha giocato moltissimo sul piano dei simboli, materia in cui si porta da vero fuoriclasse. Ha organizzato un festino che è apparso sontuoso, specialmente se commisurato alle esperienze recenti. Ha rilanciato il mito della Primavera. Si è presentato come il garante della ripresa di un periodo di splendore. E, tra abbattimento e fede, ha convinto ciò che resta di una comunità straziata e avvilita. Ora è lecito aspettarsi azioni da amministratore.

L’immondizia non sarà sconfitta con una bella parafrasi. Il bubbone della Gesip non sarà risolto rivolgendosi a Roma con toni da Masaniello. Questa capitale corrotta e contorta non sarà ricostruita con una nuova Primavera. Palermo è cambiata, ha vent’anni in più e molti soldi disponibili in meno rispetto all’era cui si riferiscono il mito e l’agiografia orlandiana. Palermo non ha nemmeno bisogno di un pensiero unico e polemico che intenda zittire ogni spazio di dissenso. Abbiamo l’esigenza opposta: riscoprire il valore delle differenze e del confronto. Solo con la dialettica e l’intelligenza di ciascuno in trincea ci salveremo. Ammesso e non concesso che la salvezza sia ancora un traguardo esigibile.


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