“Non c'è neanche |uno straccio di prova” - Live Sicilia

“Non c’è neanche |uno straccio di prova”

Saverio Romano, in un'intervista rilasciata diversi mesi addietro, si difende dalle accuse senza abbandonare mai il profilo istituzionale che ha scelto di mantenere. Pochi i suoi interventi. Alcuni per ribadire che c'è qualcosa che non funziona se una persona resta otto anni indagato, nonostante per due volte la Procura stessa abbia chiesto l'archiviazione.

Da "S" - L'intervista
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5 min di lettura

Si definisce “impegnato a difendersi dal nulla”. Saverio Romano taglia corto. Contro di lui, dice, non c’è uno straccio di prova. Solo chiacchiere. Parole in libertà, come le chiama mentre risponde al telefono da Bruxelles. Preferirebbe discutere di altro. Ad esempio della decisione che lo ha visto protagonista, assieme agli altri ministri dell’Agricoltura del Vecchio Continente. L’Unione europea distribuirà cibo gratis ai poveri e alle famiglie in difficoltà negli Stati membri. A rappresentare l’Italia c’era lui, Saverio Romano, ormai ex ministro per le Politiche agricole. Che accetta di rispondere alle domande sui suoi guai giudiziari. Senza, per la verità, abbandonare mai il profilo istituzionale che ha scelto di mantenere. Pochi i suoi interventi. Alcuni per ribadire che c’è qualcosa che non funziona se una persona resta otto anni indagato, nonostante per due volte la Procura stessa abbia chiesto l’archiviazione. O per sostenere che una delle prove principali a suo carico sia viziata da un errore di interpretazione. Non si riferisce a lui il nome Romano citato nel biglietto con cui Massimo Ciancimino annotava i soldi pagati ai politici. L’ex ministro ha usato le stesse parole riferite da Gianni Lapis ai giudici: “Romano è Romano Tronci, il nostro socio delle cooperative rosse”.
Cominciamo da Gianni Lapis. Quali erano i vostri rapporti?
“Lapis è stato consulente dell’Ircac per vent’anni. Quattro dei quali sotto la mia presidenza dell’Istituto. C’era un rapporto lineare. Nulla a che vedere con gli affari della sua società. A lui si rivolgevano in tanti per avere consigli. Le faccio un esempio, che non fa parte delle intercettazioni. Una volta l’ho chiamato perché a Roma ci stavamo occupando del credito d’imposta che veniva addebitato all’erario regionale. Gli ho chiesto un consiglio per presentare un emendamento che non penalizzasse la nostra regione”.
Dunque non sapeva dei rapporti di Lapis con il Gruppo Gas?
“Io conoscevo Lapis come ordinario di diritto tributario, consulente delle più grosse banche siciliane ed esperto di materie fiscali”.
Considera “lineare” anche il fatto che Lapis la chiami per modificare un emendamento in Parlamento?
“Le mie telefonate sono abbastanza chiare. L’emendamento di cui si parla era stato presentato da un senatore della Lega e approvato un mese prima di quella telefonata. Cos’altro le devo aggiungere”.
E l’affare Graci? Al telefono parlate di una transazione.
“Sì, una transazione che era stata fatta dalla Cassa di risparmio con Graci ed era stata depositata per ottenere i benefici della legge Prodi. Siccome Lapis era imputato gli serviva una copia dei documenti per difendersi al processo sulla bancarotta della Sicilcassa. Io non c’entro con la vicenda Graci. Tanto era segreta la cosa che ho incaricato la mia segreteria di fare avere i documenti a Lapis”.
Eppure il giudice dice che lei farebbe parte di un comitato affaristico-politico-mafioso.
“I magistrati si esprimono in libertà. Poi vai al fulcro delle cose, cerchi dove si evince questa accusa e non la trovi”.
E degli incontri con Lapis, che mi dice?
“Come faccio a ricordarli. Magari ci sentivamo cinque volte in un mese, e poi per mesi non ci vedevamo”.
In una conversazione Lapis dice a Cintola “domani facciamo anche l’altro”. Secondo gli investigatori, sarebbe la conferma che era arrivato il suo turno per incassare la tangente.
“Una forzatura. La realtà non è questa. So che Cintola e Lapis avevano un rapporto di amicizia. Ognuno può dire di un altro quello che vuole, ma servono riscontri alle telefonate. Glielo ribadisco, le mie telefonate sono trasparenti, cristalline. Se non riescono a descrivere il fatto corruttivo cosa vuole che io le dica. Parlano di generica disponibilità. Ma che vuol dire? Disponibilità a fare una cortesia? E poi a fronte di che cosa? Non mi è stato contestato un solo episodio. Nessuno mi dice: lei ha fatto questo e quest’altro”.
E sulle accuse di mafia che le vengono rivolte?
“Anche qui non c’è un fatto, un episodio. Qualcuno sa da cosa dovrei difendermi?”
Ad esempio dai pentiti. Giacomo Greco dice che lei venne appoggiata alle elezioni da Bernardo Provenzano e Nicola Mandalà. Innanzitutto conosce Greco?
“Certo che lo conosco, è del mio paese”.
E sull’appoggio elettorale?
“Greco dice di averlo saputo da Pastoia nel 2003 o nel 2004. Non ricorda. Cioè lui uomo di mafia non mi vota nel 2001 e lo viene a sapere tre anni dopo dal suocero”.
E il boss Ciccio Pastoia, genero di Greco, lo conosce?
“Nessuno, dico nessuno in un posto di undicimila abitanti dove mi conoscono tutti potrà mai dire che io abbia mai avuto rapporti con questo Pastoia. Anche in questo caso la verità è che non c’è un solo fatto che mi viene contestato. Me lo trovi lei che fa il cronista giudiziario da anni”.
C’è però qualcuno che non la pensa così. Ed è il giudice per le indagini preliminari Giuliano Castiglia che ha respinto la richiesta di archiviazione e ha obbligato i magistrati all’imputazione coatta.
“Le ordinanze di Castiglia e Morosini sembrano scritte dalla stessa mano”.
Ipotizza un complotto?
“Posso pensarlo mai? Mi riferivo al fatto che le due ordinanze sono figlie della stessa impostazione. Subiscono la stessa influenza. Entrambi sono di magistratura democratica”.
Può chiarire il concetto di “impostazione”?
“Si suppone tutto. Per alcuni Romano è colpevole a priori, ma ancora cercano il reato, l’episodio concreto. Sono inseguito dal nulla, mi devo difendere dalle parole dei giudici non dal reato, né da un fatto specifico che mi viene contestato”.
L’impostazione di cui lei parla c’entra qualcosa con le inchieste che hanno coinvolto, in questi anni, una determinata parte politica? Lei non è il solo esponente dell’Udc (oggi Romano è passato al Pid) ad essere finito sotto accusa. Ha mai pensato ad un uso politico dell’attività giudiziaria?
“Diciamo che si è trattato di un momento storico che ci ha coinvolto tutti. Aggiungo che a livello generale, senza alcun riferimento a vicende specifiche, assistiamo spesso ad un corto circuito istituzionale. Che una parte fortemente minoritaria della magistratura faccia politica attiva non lo nasconde nessuno, spesso nemmeno componenti della stessa magistratura”.
Alla luce delle sue parole, l’imputato Romano ha ancora fiducia nella giustizia?
“Certo, anche se la mia fiducia è stata messa a dura prova”.


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