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Francesco era un mito

Giorgio Mulè

Per me Francesco è stato questo: un mito. Non l’ho mai chiamato Ciccio. Lui era Francesco. Anzi: FrancescoForesta, tutto unito. Non aveva neppure 25 anni nel 1989, capite? Eppure era già un fulmine. Così il direttore di 'Panorama' ricorda Francesco Foresta.

Il ricordo di Giorgio Mulè
di Giorgio Mulé
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Palermo, aprile 1989. Francesco è già Foresta. A me, appena assunto come praticante al Giornale di Sicilia, appare come un divo. Cioè: lui è Foresta, non so se mi spiego. Firma gli articoli in prima pagina, è un cronista temuto. Rispettato. A Leoluca Orlando (ebbene sì, sempre lui) fa vedere i sorci verdi. Francesco è preciso di una precisione precisissima. La sua scrivania fa schifo per quanto è ordinata: l’agenda poi…un capolavoro. Computer e Ipad sono nella mente del Signore, ma Francesco li precede: tutti i nomi sono al posto giusto, ordinati, senza una sbavatura di inchiostro. Gli articoli si scrivono alla macchina da scrivere, quando Francesco tira via le cartelle con i bordini azzurri ai lati del margine sembrano uscite da una stampante che vedrà la luce almeno 10 anni dopo. Precisissimi, manco un errore. Quanto mi fa incazzare a me che sono disordinato di un disordine che fa schifo. Ora che ci penso, Francesco che lavorava con me in Cronaca di Palermo a due metri dalla mia scrivania se n’è accorto subito del mio disordine.

Pochi giorni dopo la mia assunzione sono l’unico cronista di nera presente quando intorno alle dieci di sera sparano nei dintorni dei cantieri navali. Una voce urla: «Trenta righe…come ti chiami…per la prima…spirugghiati ‘ca ggià scurò». Decritto: «come ti chiami» ero io appena giunto al Giornale di Sicilia, «trenta righe» la lunghezza dell’articolo, «spirugghiati ‘ca ggià scurò» era un velato invito a sbrigarmi, «per la prima» invece…. Beh, «per la prima» era il peggior incubo che potesse capitare a un presunto giornalista e per giunta in erba. Perché «per la prima» aveva come destinatario il vicedirettore del giornale con un nome e un cognome: Peppino Sottile, anzi il dottor Sottile per me visto che io, praticante di anni ventuno, ero ancora indegno di rivolgermi a Lui con il tu. Di lì a quindici minuti capii perché Francesco Foresta era di quell’ordine maniacale. Il dottor Sottile, ricevute le mie trenta righe battute a macchina di cui cinque righe spillate con la cucitrice da un’altra cartella, non alzò neppure lo sguardo verso di me. Mi disse semplicemente: «Senti…come ti chiami, prima regola: rispetto. Non ci presenta da me con questa paccottiglia schifosa. Vai a fare in cuuuuuuuuulo!». Sull’ultima parola i decibel aumentarono di vocale in vocale e ad ogni vocale un giornalista presente nella redazione di via Lincoln 21 si girava verso di lui e quindi verso di me.

Tornato nello stanzone della cronaca, Francesco raccolse ciò che restava della mia dignità. «Pupetto, vieni qua», disse. Mi fece sedere accanto a lui, si mise alla macchina da scrivere, buttò giù l’articolo con quel fare paternale che gli piaceva tanto. Cambiò alcune parole, tolse tutti gli aggettivi («Ma come sei, pazzo? Vuoi volare a Villa Giulia direttamente dalla finestra di Sottile…»), soprattutto tirò via una cartella senza una sbavatura d’inchiostro: «Ora glielo puoi dare». Il dottor Sottile continuò a non guardarmi. Sentenziò: «Fa schifo uguale, ma almeno è pulito. Sparisci».

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Per me Francesco è stato questo: un mito. Non l’ho mai chiamato Ciccio. Lui era Francesco. Anzi: FrancescoForesta, tutto unito. Non aveva neppure 25 anni nel 1989, capite? Eppure era già un fulmine. Ed era pure assai bello. Si fosse vestito un po’ meno tascio (quegli occhiali da sole neri non si potevano guardare, Francesco…) sarebbe stato un attore di Hollywood. Vabbè, nessuno è perfetto. Con Francesco abbiamo vissuto un’epoca unica, straordinaria e irripetibile del giornalismo. Ogni giorno trascorso a Palermo, in quel periodo, valeva un mese per intensità, enormità degli eventi, responsabilità della nostra professione. Francesco si occupava di politica e non sbagliava un colpo. Non era mai banale nella scrittura, dalla scuola Sottile prese il meglio per capacità di narrazione e vis polemica. Come tutti i numeri uno si attirava invidie, cattiverie. Lui, come tutti i numeri uno, se ne fotteva. Rideva e sapeva ridere di sé. Aveva addomesticato il cinismo: era capace di battute tremende ma irresistibili.
Con Armando Vaccarella, nostro indimenticabile capocronista, ingaggiava gag mitiche. Era leggero, Francesco. Non se la tirava. Zero.

Oggi che mi tocca scrivere di lui penso alle ultime telefonate, al nostro ultimo incontro: perdonatemi, ma il ricordo si mischia al pianto e non mi va di parlarne. Voglio invece parlare ai ragazzi di Live Sicilia, a chi dovrà raccogliere l’eredità di una testata giornalistica unica nel suo genere. Siate sereni perché avete una grande, enorme fortuna. Francesco ha voluto che, non a caso, a raccogliere il suo testimone fosse Peppino Sottile. Quando già era cosciente del suo destino, Francesco disegnò il futuro e chiamò Peppino. Volle lui e solo lui per proseguire il cammino di Live Sicilia. Per Francesco – e per me – il dottor Sottile nel frattempo diventato Peppino è come un papà, cioè un faro e un’àncora. Affidatevi a lui.

Era quello che desiderava Francesco, che da quel faro seppe rubare la luce della genialità.

*Di Giorgio Mulè, direttore di ‘Panorama’

Tags: francesco foresta

Pubblicato il 11 Gennaio 2015, 11:25
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