Ciccio il leone, il pavone e Bambi...| Amarcord degli animali di Palermo - Live Sicilia

Ciccio il leone, il pavone e Bambi…| Amarcord degli animali di Palermo

Uno dei pavoni di Parco d'Orleans

Il leone di Villa Giulia che ruggiva solo se gli voltavi le spalle. Il papero tonto che non riusciva mai a beccare una briciola di pane. Il cerbiatto che sembrava Bambi o un suo lontano parente. Chi ricorda?

PALERMO– Leggendo le note cronache degli uccelli di Parco d’Orleans, si ricordano, per pretesto di assonanza mnemonica, le fantastiche storie degli animali di Palermo. Ed è un duplice smarrimento: dell’infanzia che li ammirava con meraviglia, di quei vezzosi protagonisti di un’epopea trascorsa che ruggivano, agitavano le criniere e mostravano le corna a richiesta, alla stregua di attori consumati.

C’era il leone Ciccio – ma qualcuno sosteneva che avesse un nome e un cognome esotici: Chico Portobello – che illanguidiva, cacciando le mosche con la coda, nella calura dei pomeriggi estivi, a Villa Giulia. Schiere di bambini si davano il cambio davanti alla sua gabbia, attendendo l’istante in cui avrebbe spalancato la bocca-fornace per lanciare il richiamo da autentico re di una foresta, sia pure domestica. E lui, Ciccio-Chico, se la prendeva comoda, sbadigliando, non concedendosi alla folla. Solo quando gli voltavi le spalle e stavi per andartene, deluso, il ruggito risuonava immancabile e irresistibile. Quel leone da canzone di Paolo Conte aveva un senso molto spiccato della sceneggiata.

Sempre a Villa Giulia, c’era la vasca di oche e papere, con un paperottolo chiamato ‘il tonto’, perché non riusciva a beccare le molliche che mani generose gli lanciavano. E più lo cercavi, più spezzettavi il pane, più, quasi, gli tiravi il cibo addosso, nella speranza di nutrirlo; più lui roteava imbambolato la capoccia bitorzoluta. Nel frattempo, i suoi confratelli di stagno spazzolavano ogni briciola. E diventavi nervoso – cretino, afferra! – non capacitandoti di tanta ignavia. Eppure ‘il tonto’ non morì mai di fame, forse aveva dispense nascoste, riserve di cibo e si limitava, come il leone, alla coreografia, alla parte in commedia.

In verità, l’attrazione suprema dei piccoli ospiti di tanti anni fa erano i ‘bambi’, i daini dietro la palizzata, che accorrevano a mangiare direttamente nel palmo del visitatore. Ce n’era uno che pareva, preciso preciso, il cerbiatto del cartoon di Walt Disney. Ricambiando il suo sguardo, dolcissimo e rotondo, rivedevi il film intero: le burle sul ghiaccio del coniglietto Tippete, la puzzola ‘Fiorellino’, i compagni e gli amici, fino alla spietata caccia, fino alla morte della madre del vero Bambi. E ti domandavi, col cuore ridotto a una ruga d’angoscia, se pure quel cucciolo non fosse rimasto orfano. Completava il paesaggio il trenino che si trasformava subito in un amarcord di battaglie tra cowboy e indiani tanto profumava di Far West, mentre i minuscoli viaggiatori sparacchiavano con le Colt giocattolo che lasciavano nell’aria un tenue odore di bruciaticcio.

A Villa Sperlinga le vecchie mitologie di Toro Seduto e del generale Custer erano affidate all’incedere lento di certi rassegnati pony, condannati alla soma di infanti obesi che avevano la tracotanza di spronarli. Egualmente, il pony si conduceva col suo ritmo lento: da bravo palermitano conosceva l’inerzia delle cose di questa città. Non accelerava mai. Non scartava mai. Trotterellava, posato, noncurante dell’incitamento del cavaliere di turno che aveva la magica impressione di attraversare la giungla, cavalcando un volante destriero.

E c’era, appunto, la misteriosissima e lunghissima Villa d’Orleans: un regno fatato. La percorrevano a piedi padri e figli: i secondi con le pupille spalancate per tanto esotismo, i primi che a malapena celavano la gioia di essere tornati figli, non solo padri. C’erano altri cerbiatti. E il pavone che non aprì mai la sua coda, per superbia. E uccelli variopinti che sembravano usciti dai racconti di Sandokan. Come se la sarebbe cavata la Tigre della Malesia senza l’aiuto del portoghese Yanez e dell’indio Tremal-Naik? Figli e padri sfogliavano un romanzo di Salgari; tornavano a casa con le immagini di un giorno indimenticabile, stampate d’inchiostro fresco nella memoria.

Quelle pagine sono ancora qui, sebbene ingiallite. Basta riaprirle, per rivivere le fantastiche storie degli animali di Palermo; dei padri e dei figli che appena ieri si tenevano per mano davanti alla bocca del leone. E poi si sciolsero, nel suo ruggito, per non ritrovarsi più.

 


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