Saguto e i compensi ai coadiutori | La Procura contabile: “Deve pagare” - Live Sicilia

Saguto e i compensi ai coadiutori | La Procura contabile: “Deve pagare”

La giudice assolta in primo grado. Incarichi costati 35mila euro. L'accusa insiste: "Li restituisca"

CORTE DEI CONTI
di
3 min di lettura

PALERMO – La Procura della Corte dei conti non si arrende. E torna a presentare il conto alla giudice Silvana Saguto: 35 mila euro, che l’ex presidente della Sezione misure di prevenzione del Tribunale di Palermo avrebbe fatto gravare illegittimamente sulle casse dello Stato.

Questa la contestazione della Procura generale che ha deciso di presentare appello nei confronti della sentenza di primo grado con cui i giudici della Corte dei Conti a gennaio hanno assolto Saguto, difesa dall’avvocato Domenico Pitruzzella, citata in giudizio dalla Procura contabile per danno erariale nei confronti del ministero della Giustizia.

L’ex presidente della Sezione che gestisce i beni confiscati alla criminalità organizzata era finita davanti ai giudici contabili per avere autorizzato il pagamento di compensi destinati a tre coadiutori dell’amministratore giudiziario, ai quali erano stati conferiti anche incarichi aziendali nell’impresa oggetto dell’amministrazione giudiziaria, facendo gravare indebitamente sullo Stato, appunto, il relativo complessivo importo di 35 mila euro. La vicenda si colloca appunto nell’ambito della gestione dei beni sequestrati e trae origine da una relazione ispettiva del Ministero della Giustizia del 2016. Dalla relazione era emerso, infatti, che, nel corso della gestione di una azienda sequestrata, la Saguto aveva autorizzato con provvedimento del 15 aprile 2015 la liquidazione dell’importo ponendo lo stesso a carico dell’Erario. Gli Ispettori avevano sostenuto, sostanzialmente, l’estraneità della spesa in questione alla fattispecie autorizzata dalla norma, con conseguente danno per l’amministrazione statale che aveva indebitamente sostenuto il relativo esborso.

Secondo i giudici contabili, invece, l’azione della Saguto fu legittima. La sostituzione dei componenti della famiglia a cui era stato sequestrato il bene era necessaria per la prosecuzione dell’attività dell’azienda. “In buona sostanza – si legge nella sentenza – le nomine in questione e la determinazione dei relativi compensi (peraltro quantificati “in misura inferiore a quella già spettante al proposto e ai suoi familiari”) vanno inquadrate nel novero degli atti funzionali all’attività economica dell’azienda. In altri termini, i tre professionisti in questione sono stati chiamati sostanzialmente dallo Stato per assicurare, quali collaboratori, quella continuità imprenditoriale necessaria alla conservazione del bene azienda che, per le predette ‘esigenze di discontinuità, rispetto a momenti di illiceità o irregolarità pregressi’, non poteva più, per legge, essere affidata ai parenti del proposto.

Ma la Procura generale, rilanciando la tesi della Procura regionale, insiste. Secondo il Procuratore generale d’Appello Pino Zingale, la somma spesa per i tre coadiutori doveva essere messa a disposizione dalla stessa azienda sequestrata e non dallo Stato. In particolare, quello che la Procura generale contesta alla giudice è il fatto di non aver verificato, come richiesto dalla legge, che l’azienda sequestrata avesse in cassa i soldi per garantire quei compensi. “Il comportamento contestato e posto a fondamento della richiesta di condanna – si legge appunto nel ricorso avanzato dalla Procura – è quello di avere omesso (in modo gravemente colposo, in relazione ai doveri di vigilanza e verifica connessi alla funzione esercitata) ogni controllo sulla veridicità e fondatezza della richiesta di pagamento a lei avanzata dall’Amministratore giudiziario, prestando cieca acquiescenza alla di lui affermazione di momentanea indisponibilità di liquidità per il pagamento delle somme, circostanza, peraltro, mai negata dalla Saguto”.

Secondo il Procuratore, quindi, la giudice “ha disatteso uno specifico obbligo incombente sulla stessa, non emergendo dagli atti del relativo procedimento alcun elemento che evidenzi l’adempimento di tale essenziale dovere, né può ritenersi soddisfacente la dichiarazione, del tutto generica e priva di supporto probatorio, di momentanea carenza di liquidità”. Comportamenti che, sempre secondo la Procura contabile, evidenzierebbero “una gestione di risorse pubbliche in modo del tutto superficiale”. Toccherà ai giudici di appello, adesso, decidere.


Partecipa al dibattito: commenta questo articolo

Segui LiveSicilia sui social


Ricevi le nostre ultime notizie da Google News: clicca su SEGUICI, poi nella nuova schermata clicca sul pulsante con la stella!
SEGUICI