Il depistaggio di via D'Amelio | "Reticenza di toghe e istituzioni" - Live Sicilia

Il depistaggio di via D’Amelio | “Reticenza di toghe e istituzioni”

La relazione finale della commissione Antimafia.

PALERMO – Due conclusioni al termine dell’indagine della commissione Antimafia dell’Ars sul depistaggio sulla strage di via D’Amelio: il “forte dubbio” che la mano dietro al depistaggio, una mano estranea a Cosa nostra, “abbia accompagnato anche la mano degli esecutori materiali della strage”. E la presa d’atto che ci sia una pluralità di responsabilità dietro la possibilità che il depistaggio, attraverso le menzogne di Scarantino. Claudio Fava, presidente dell’Antimafia dell’Ars, presenta così la relazione finale dell’indagine che ha impegnato la commissione in una lunga serie di audizioni di magistrati, avvocati, esponenti delle forze dell’ordine. In sala stampa all’Ars c’è anche Fiammetta Borsellino. Proprio con l’audizione della figlia di Paolo, ricorda Fava, ha preso le mosse l’attività della commissione dell’Ars.

“È grave che Paolo Borsellino non sia stato sentito a Caltanissetta dopo la morte di Falcone. Ed è grave che dopo la strage di via D’Amelio, subito dopo, delle indagini sia incaricato il Sisde”, dice Fava, che subito si sofferma sul ruolo dei servizi segreti e sulla loro collaborazione strettissima con la procura di Caltanissetta. Per poi ricordare come i dubbi sulla caratura criminale di Scarantino fossero diffusi e fossero emersi subito con chiarezza. Fava fa notare che le decisioni sensibili hanno coinvolto tutta la filiera della governance istituzionale. Poi ricorda “i confronti di Scarantino con Di Matteo, La Barbera e Cangemi”, confronti che demolirono la credibilità del falso pentito, i cui verbali furono resi disponibili solo due anni dopo. “Si decise di credere in modo quasi apodittico che fosse la mafia a costringere Scarantino a ritrattare. Per cui si sceglie di credere alla ritrattazione della ritrattazione”, ricorda Fava.

Non solo Paolo Borsellino non fu ascoltato dopo Capaci. Lo stesso avvenne con il procuratore Giammanco, ricorda Fava, riferendo dettagli dell’audizione di Canale. Che ha negato che fosse vero che Borsellino era stato convocato per il 20 luglio. “Se non ci fossero state alcune di queste sottovalutazioni, omissioni, forzature, un giudice ha definito l’attività di La Barbera predatoria, la conclusione è che di questo depistaggio si sarebbe potuto sapere ben prima che parlasse Spatuzza”, dice Fava. “Forse per la prima volta alcune domande sono state formulate a chi non le aveva mai ricevute. A questi magistrati per esempio è stato chiesto com’è che nessuno si sia stupito della pervasività dei servizi segreti nelle prime ore delle indagini sapendo che erano contrarie alla legge”. Nelle conclusioni della relazione si parla espressamente del “contributo di reticenza” offerto – consapevolmente o inconsapevolmente – da magistrati e figure apicali delle istituzioni e delle forze dell’ordine.

E così si arriva alla conclusione, scritta nella relazione dell’Antimafia, per cui quanto emerge induce a pensare che “‘menti raffinatissime’, volendo mutuare un’espressione di Giovanni Falcone, si affiancarono a Cosa Nostra sia nell’organizzazione della strage, sia contribuendo al successivo depistaggio”. In conferenza stampa Fava aggiunge: “Questo depistaggio sembra servisse a coprire altro”. Ancora dalle conclusioni della relazione: l’irruzione di Scarantino “probabilmente doveva servire a escludere ogni possibile sospetto che mandanti della strage potessero essere anche soggetti estranei all’associazione mafiosa”.

Fava insiste più volte sulla “irritualità” delle indagini, in particolare sul ruolo atipico dei servizi segreti ma non solo. Tante sono le scelte investigative che suscitano interrogativi. Soprattutto alla luce della credibilità di Scarantino, che si andava consumando prima delle dichiarazioni di Spatuzza. Le “slabbrature” dell’indagine, dice Fava, cominciano da subito. “Basti pensare che Canale, che lavorava con Borsellino ogni giorni, viene sentito solo nel novembre del ’92, dopo essere stato trasferito a Roma”.

La relazione della commissione sarà trasmessa per conoscenza alle procure di Caltanissetta e Messina.

 


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