Uno sgarbo al boss Fabio Scimò| Gli incendiarono due mezzi - Live Sicilia

Uno sgarbo al boss Fabio Scimò| Gli incendiarono due mezzi

Luigi Fabio Scimò

Il retroscena del blitz della polizia che ha colpito il mandamento di Brancaccio

PALERMO – Il 4 maggio 2016 in via Amedeo D’Aosta, davanti a un’agenzia funebre, viene appiccato il fuoco ad una Fiat Seicento e a un Mercedes Vito. I mezzi sono intestati a Giovanna D’Angelo, moglie di Fabio Scimò, arrestato nei giorni scorso con l’accusa di avere guidato la famiglia mafiosa di Corso dei Mille. L’agenzia invece è formalmente intestata a Pietro Di Marzo, genero di Scimò. Ad appiccare le fiamme sarebbe stato Vincenzo Machì, pure lui fra gli arrestati del blitz della polizia. Sarebbe stato lui a sfidare il capomafia con un gesto eclatante. Uno sgarbo verso l’uomo forte.

“Machì ha agito con dolo di premeditazione – si legge nell’ordinanza del giudice per le indagini preliminari – l’azione è stata preceduta da un puntuale sopralluogo ed è stata seguita da una condotta veloce ed abile, da professionista. Le modalità del fatto, la caratura criminale del Machì e il profilo delle vittime fanno inserire il fatto, con elevata probabilità, nel contesto di una resa dei conti di stampo mafioso”.

Della caratura criminale di Machì in passato ha parlato il pentito Manuel Pasta, che di lui, così aveva messo a verbale, si serviva per i danneggiamenti ai danni dei commercianti di Resuttana. Faceva parte di un gruppo “riservato” che rispondeva  solo ed esclusivamente a Pasta e di cui gli altri non conoscevano l’esistenza.

Le telecamere del condominio dove abita Scimò hanno filmato l’arrivò di Machì, pregiudicato per furti e rapine, al volante di una Fiat Punto per un sopralluogo e il successivo ritorno sul posto con un bidone di benzina. Di Marzo si è mosso subito. Innanzitutto si è procurato le immagini del sistema di videosorveglianza del condominio. Una volta individuato l’autore ha contattato un personaggio già condannato per mafia.  

La vicenda dell’incendio sarebbe stata discussa nel corso del successivo 26 maggio in una riunione a cui parteciparono, oltre a Scimò, anche Filippo Bisconti, boss di Belmonte Mezzagno e oggi collaboratore di giustizia, e Giovanni Sirchia, uomo d’onore della famiglia di Boccadifalco-Passo dì Rigano. Sirchia è stato arrestato nei mesi scorsi in una tranche dell’inchiesta Cupola 2.0, che ha svelato il tentativo dei capimafia palermitani di ricostituire la commissione di Cosa Nostra. Non si sa cosa si siano detti alla riunione, ma l’incendio era diventata una questione grave che andava risolta. Qualcuno non gradiva il ruolo di Scimò. 


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