Il Pd deve cambiare | Ma cambi davvero - Live Sicilia

Il Pd deve cambiare | Ma cambi davvero

E' necessario un profondo rinnovamento.

Semaforo russo
di
3 min di lettura

Avete presente la parola magica “abracadabra” o l’ordine miracoloso “apriti Sesamo”? Mi pare che nel PD siciliano si sia voluta trovare una formula similare con supposti effetti divinatori: “primarie aperte!”. Una maniera, magari lo sperano alcuni esponenti dem che le invocano, di cancellare d’un tratto sconfitte elettorali, negative esperienze di governo e inaugurare senza travaglio alcuno un positivo rapporto con i numerosi elettori, ormai ex elettori, delusi.

Non funziona così. In politica le scorciatoie non aiutano a raggiungere grandi risultati durevoli, tanto meno a evitare passaggi assolutamente necessari, spesso dolorosi, per riconquistare fiducia e consenso. E’ decisamente stucchevole il dibattito di queste ore sulle modalità di elezione degli organismi di partito. Diritto di voto soltanto agli iscritti o anche ai non iscritti attraverso primarie aperte? Perché, mi viene da chiedere, forse ognuna delle due forme di consultazione automaticamente condanna al vecchio o garantisce il nuovo? Ovviamente no.

Non voglio entrare nel merito della diatriba poco affascinante, piuttosto mi preme andare a monte del ragionamento e non fermarmi a valle. E a monte ci sta il seguente interrogativo: come si può pensare di spalancare il partito, il famoso “campo aperto” di Nicola Zingaretti, alle migliore energie della società, promessa sentita ripetutamente e non mantenuta, lasciando però intatta la classe dirigente, interna e nelle istituzioni, responsabile delle sorti del partito negli ultimi anni?

Per capirci meglio, l’iscrizione al PD con pagamento della quota mediante carta di credito, evitando i pacchetti di tessere acquistati dai capi-bastone, è stato certamente un passo avanti nel percorso di trasparenza e di democrazia (a fronte dei congressi farsa dove vinti e vincitori erano già decisi a tavolino). Paradossalmente le primarie cosiddette aperte, teoricamente cosa buona, potrebbero restituire il potere in mano ai soliti notabili. Infatti, soprattutto in epoca in cui non si muovono masse verso i gazebo, non ci vuole molto a organizzare truppe cammellate – frotte di amici, clientes e parenti – condizionando a proprio favore il risultato (elezione dei segretari, regionale e provinciali, e quindi degli organismi collegiali).

Allora, probabilmente lo slogan dovrebbe essere un altro: non primarie aperte, ma liste aperte, interne e per le istituzioni, e profondamente rivoluzionate. Ci vuole coraggio. L’invito di Zingaretti a prendere lezione dalle ultime elezioni regionali in Emilia Romagna per rifondare il PD, finora ostaggio di correnti e fazioni chiuso all’esterno, non può essere ridotto alla semplice scelta di chi far votare ma deve cogliere le ragioni profonde delle debacle che hanno falcidiato i consensi, specialmente in Sicilia, regione con oltre 4 milioni e mezzo di elettori e un astensionismo da paura.

Ha fatto bene Zingaretti a ringraziare le “Sardine” per il contributo offerto nella pacifica rivolta contro la politica salviniana sovranista e basata sull’intolleranza e nella recuperata passione di migliaia di persone per la partecipazione attiva. Non basta però ringraziare, occorre coinvolgere l’entusiasmo riscoperto scongiurando con cura la malefica tentazione di cooptare o annettere al fine di lucrare voti lasciando il mondo (il partito) com’è. Stia quindi accorto l’inquilino del Nazareno, stia attento alle furbate dentro casa – vedi il rischio primarie pilotate – di chi non vuole staccarsi da posizioni consolidate e redditizie impedendo l’ingresso a una classe dirigente giovane (non in senso anagrafico o solo anagrafico), non coinvolta con il passato e motivata da ideali alti. Soprattutto in Sicilia.

 

 

 


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