Il braccialetto fantasma e l'implosione della Giustizia - Live Sicilia

Il braccialetto fantasma e l’implosione della Giustizia

Una storia vera su una vera emergenza.

Molti guarderanno a questo articolo come l’ennesimo “allattariamento” di qualcuno che cerca il suo quarto d’ora di notorietà.

Altri lo leggeranno senza capire cosa, in effetti, hanno letto.

Bene. Alla restante parte di coloro che lo esamineranno, cercandovi una difficile Verità, rivolgo le mie parole.

Lo so, il tema che cerco di raccontare ha oramai la reattiva intolleranza di grande parte del Popolo italiano.

Tuttavia, questo così abusato Popolo dovrà pur comprendere che solo dalla consapevolezza collettiva può rinascere un nuovo tempo di vita sociale.

In altre parole, se non intuiamo il perché della patologia, mai usciremo dal male che ci affligge.

Chiaramente, ogni riferimento al Covid-19 è puramente casuale perché sto parlando di Giustizia.

Raccontandovi un caso (uno dei tanti…) affrontati di recente, si avrà chiara l’idea di quali follie inceppino la macchina che molti volenterosi giudici guidano ogni giorno.

Eccovi la storia.

Mario Rossi (nome di piuma) viene arrestato all’interno di una stazione ferroviaria.

Non ha fatto nulla di particolare, o meglio, non ha ancora fatto nulla di particolare che la polizia abbia visto.

Gli agenti lo conoscono. Egli è, in quel luogo, per commettere una nuova rapina perché tante ne ha già commesse.

Il Rossi, infatti, è uno dei tanti – troppi, direbbe qualcuno – tossici disperati che vivono in questa città.

Alla polizia che gli domanda le generalità, il Rossi le dichiara false. Il documento d’identità è stato contraffatto.

Ma l’intuito degli agenti scopre l’inghippo e viene fuori subito la realtà: il Rossi doveva trovarsi agli arresti domiciliari proprio per rapina.

Però… c’è qualcosa che davvero non funziona se quel tale è lì… perché Rossi doveva avere alla caviglia il costoso attrezzo chiamato bracciale elettronico.

Già vedo i vostri occhi socchiudersi alla focalità della lettura ed i vostri pensieri aguzzarsi nell’ingegno interrogativo.

Ma cosa è mai questo bracciale elettronico e a cosa serve se, in questo caso, sembra non essere servito?

Rispondervi non è facile perché, negli USA (dove è stato inventato) il bracciale serve a controllare gli imputati posti in libertà e non alla detenzione domiciliare.

Insomma, lì dove è stato inventato, serve per controllarti nei tuoi movimenti e non per tenerti a casa dove già sei obbligato a stare (pena l’arresto in carcere).

Ma, si sa che noi italiani scimmiottiamo – un po’ come Alberto Sordi – tutto ciò che ci viene dall’America.

Soltanto che questa “scimmiottatura” è davvero assai costosa per la collettività e non solo in termini economici.

Un bracciale che non funziona può, infatti, equivalere ad un grave e sanguinario delitto in più.

Il Rossi viene arrestato per evasione e tratto davanti al giudice nel cosiddetto rito direttissimo.

L’imputato ha uno sconfinato curriculum di rapine ed evasioni, ma il giudice non può metterlo in galera.

Lo impedisce una chiara giurisprudenza della Cassazione che afferma che solo il giudice dell’ultima rapina può farlo (sentenza n. 18856 del 2018).

Se poi – come in questo caso – per il reato è prevista una pena inferiore a tre anni, la galera preventiva non è proprio possibile (sentenza n. 26542 del 2020).

Insomma, il giudice, con il sorriso sulle labbra (e nello stupore degli agenti di polizia presenti in aula…), fa l’unica cosa permessa: rimanda il Rossi nella casa dalla quale è evaso.

Inutile dire che questo forzoso rientro a casa sarà la premessa per una nuova evasione e, così, senza fine.

Ma qui accade l’incredibile.

L’imputato che, fino a quel momento era rimasto impassibile, reagisce violentemente tanto da fare convergere nell’aula di udienza ben otto carabinieri.

Il Rossi si dimena e grida che vuole andare in galera, almeno lì troverà quello di cui ogni giorno ha bisogno.

Ma è evidente che il giudice non potrà dare seguito a quella richiesta… 

Per farla breve, vi darò la morale di questa che una favola non è.

La storia che ho raccontato – inverosimile ma vera come mille altre ne accadono ogni giorno nei tribunali – dimostra una Verità.

Il sistema giudiziario sta lentamente implodendo, sommerso dalle sue stesse irrisolvibili contraddizioni.

Occorre una riforma che, con la massima urgenza, riporti la Giustizia al centro della vita del Paese.

Stanziamenti economici seri, palazzi adeguati, giudici, cancellieri, ausiliari di polizia dotati di mezzi moderni.

E – last but not least – poche Leggi, ma di ragionevole applicazione (si pensa che in Italia le norme siano più di 300.000, ma nessuno ha certezze al riguardo…)

Mai dimenticarlo: la Giustizia è l’acqua che disseta la collettività e la fa vivere nell’ordine e nel progresso civile.


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