La mafia e l'affare dell'uva: guadagni milionari e soldi riciclati - Live Sicilia

La mafia e l’affare dell’uva: guadagni milionari e soldi riciclati

Gli intrecci fra boss agrigentini, palermitani 'scappati', stiddari e americani

PALERMO – Ci sono zone della Sicilia dove i boss si spartiscono poche centinaia di euro raccolti con il pizzo. Ad Agrigento e dintorni, invece, lontano dai riflettori, i mafiosi fanno affari milionari con la vendita dell’uva da tavola in Italia e nel mondo.

Un business talmente lucroso da avere scomodato la famiglia mafiosa dei Gambino di New York, pronta a riciclare montagne di soldi sporchi.

Il sensale della mafia

Il capo mandamento di Canicattì Calogero Di Caro, uno dei fermati di ieri nel blitz dei carabinieri del Ros, aveva indicato il nome di un sensale a cui tutti, o quasi, i produttori di uva e altri prodotti ortofrutticoli dovevano rivolgersi per la commercializzazione della merce. La mafia lucra sulle mediazione imposta dalle famiglie di Ravanusa, Canicattì e Campobello di Licata. Si rischia poco, si guadagna tanto. Niente a che vedere con il pizzo e il traffico di droga.

Un triumvirato detta legge

Il settantenne Di Caro aveva affidato la gestione a un triumvirato composto da Luigi Boncori, Giancarlo Buggea e Giuseppe Giuliana.
Ora i pubblici ministeri di Palermo passeranno al successivo step investigativo per capire se gli imprenditori subiscano l’imposizione del sensale, che incassa una percentuale fra l’1 e il 3 per cento, oppure siano conniventi perché gli sponsor mafiosi servono a battere la concorrenza.

Gli stiddari

Al tavolo degli affari, come hanno ricostruito i carabinieri del Ros, siedono famiglie storiche come i Pace e hanno fatto di tutto per accomodarsi di nuovo gli stiddari guidati da Antonio Gallea, ergastolano per avere fatto uccidere Rosario Livatino e da alcuni anni in semilibertà. C’è una tregua fra Cosa Nostra e Stidda.

Degli affari si è discusso nel luogo privilegiato per gli incontri, lo studio dell’avvocata Angela Porcelli, compagna di Buggea. È emerso con chiarezza che per ogni mediazione si arrivano a incassare 500 mila euro. Si parla di quintali di prodotti venduti in giro per il mondo dove il brand made in Sicily funziona parecchio e la gente apprezza la bontà dei prodotti nostrani.

I Gambino di New York

A fiutare il business sono stati anni gli esponenti dei Gambino di New York che hanno spedito degli emissari in Sicilia. Parecchio interessato si è dimostrato anche il villabatese Simone Castello che ha allargato i suoi orizzonti dopo essere stato il postino di Bernardo Provenzano durante la latitanza del padrino corleonese.

Ad oltre 60 anni di distanza dalla presenza di Giuseppe Settecasi, unico rappresentante dell’intera Cosa Nostra siciliana alla riunione di Apalachin che nel 1957 radunò tutte le famiglie mafiose d’America, la mafia agrigentina ha ancora solidi contatti oltreoceano.

Gli ‘scappati’

Alcuni agrigentini in questi anni sono partiti per l’America, mentre Buggea ne ha discusso con Franco Inzerillo, boss del mandamento palermitano di Passo di Rigano, prima che quest’ultimo finisse di nuovo in carcere. Inzerillo è stato uno dei primi durante la guerra di mafia a scappare in America per sfuggire alla furia dei corleonesi di Totò Riina e tra i primi a rientrare in Sicilia.

Una fideiussione da mezzo miliardo

Gli emissari americani dei Gambino sono venuti a Favara a proporre di riciclare montagne di soldi attraverso le esportazioni di uva nel mondo, ma anche attivando una società che deve ripulire il denaro simulando acquisti fittizi. Della società Buggea diceva di avere visto i documenti per ottenere una fideiussione da 500 milioni. Si parla anche di imprese insolventi dove fare confluire montagne di danaro per poi farle fallire una volta completata l’operazione di riciclaggio.

Ed ancora ha saputo di “un traffico impressionante per ora nel Kosovo”. Un traffico dove gioca un ruolo decisivo “un picciotto d’oro, capelli bianchi, lunghetti… che è cugino di Totuccio Inzerillo”.

Soldi sporchi da Singapore

Non solo dal Kosovo, i soldi sporchi partono da Singapore e al termine di un lungo giro approdano in Sicilia. Buggea sa di movimenti per avviare affari all’interno del porto di Catania, mentre in altre città siciliane affacciate sul mare le attività illecite sono già in corso.

Quali? I mafiosi agrigentini ne custodiscono i segreti che la Dda di Palermo sta cercando di decriptare. Niente pizzo e droga, ci sono boss che fanno soldi a palate con i prodotti dell’ortofrutta. Una circostanza già emersa studiando le mosse di Frank Calì. “Franky boy”, assassinato nel marzo 2019, aveva contatti con le famiglie mafiose di Palermo, Trapani e Agrigento. Innanzitutto ha sfruttato le parentele.

Era sposato con Rosaria Inzerillo, sorella di Pietro, uno degli scappati. Il 14 gennaio del 1982 un funzionario di Polizia del New Jersey ricevette una telefonata anonima. Una voce gli indicava di recarsi all’hotel Hilton di Mount Laurel perché c’era una bomba dentro una macchina. Ed invece nel portabagagli trovarono il cadavere congelato di Pietro Inzerillo, cognato di Frank Calì

Gli Inzerillo e la morte di Frank boy

Negli anni gli Inzerillo sono rientrati nella borgata di Passo di Rigano, a Palermo, non senza fibrillazioni. Nel 1997 Francesco Inzerillo, detto u truttaturi, figlio di Pietro, fu espulso dagli Stati Uniti e rimpatriato forzatamente in Italia. Nel 2014 anche il cugino Tommaso è tornato a Palermo. Entrambi furono arrestati nel blitz Gotha del 2006. Francesco fu scarcerato nell’ottobre del 2011 e Tommaso nel novembre del 2013.
La stagione della fuga è ormai archiviata se è vero che Settimo Mineo, l’anziano boss di Pagliarelli che ha presieduto la nuova cupola di Cosa Nostra riunitasi lo scorso maggio, aveva incontrato i cugini Inzerillo. Lo stesso Mneo prima di essere arrestato programmava un viaggio in America.


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