Quando si parla di cioccolato di Modica, inevitabilmente il pensiero corre alla famiglia Bonajuto – Ruta. Un fatto paradossale, oggi, se pensiamo che la più antica fabbrica di cioccolato di Sicilia, non può fregiarsi della dicitura “cioccolato di Modica” perché fuori dall’IGP. Il brand che ha condotto il cioccolato della città alla sua attuale fama, tiene ora a distinguersi dal marchio e dal consorzio che si occupa della sua tutela.
La Storia
La Storia dell’azienda affonda le sue radici nel 1880, grazie al lavoro di Francesco Bonajuto, anche se oggi sappiamo che la dolceria esisteva già da due generazioni. Nel 1932 le redini dell’azienda passano nelle mani di Carmelo Ruta, marito della figlia adottiva di Bonajuto. Senza nulla togliere ai predecessori, la vera, grande svolta arriva nel 1992 con Franco e Pierpaolo Ruta, rispettivamente figlio e nipote di Carmelo.
Franco Ruta inizia a studiare il cioccolato realizzato a Modica e trova interessanti similitudini con quello prodotto ad Agramunt in Spagna e in Sud America. Si rende conto di aver tra le mani un cioccolato prezioso, che profuma di tradizioni antiche. Nulla a che vedere con la produzione industriale che si era diffusa nel resto d’Europa. Decide così di valorizzarlo e, grazie all’interesse della stampa nazionale ed internazionale e un’intervista televisiva con Maurizio Costanzo, nel 1999 il cioccolato di Modica viene fatto conoscere in tutta Italia e nel mondo, con una risonanza mediatica inaspettata.
“Io e mio padre avevano, soprattutto, un desiderio: non fare scomparire il profumo che emanava mio nonno”, racconta Pierpaolo Ruta. “L’idea era quella di continuare la tradizione di famiglia, ritornando alla formula originaria della dolceria. La punta di diamante rimaneva per noi il cioccolato, affiancato da prodotti della nostra tradizione: dai nucatoli alle ‘mpanatigghi, dai torroni al classico cannolo.
Il caso
Qualche tempo fa, Bonajuto e Fud Bottega Sicula firmavano una provocazione ironica con un packaging su cui si leggeva “Cioccolato di un paese vicino Ragusa”, non potendo utilizzare la dicitura che, oggi, è protetta dal marchio IGP. Da dove nasce la diatriba e la, conseguente, rottura?
Con l’incremento della produzione cioccolatiera a Modica, nel 2003 Franco Ruta, la Camera di Commercio di Ragusa, il CNA di Modica insieme ad altri produttori hanno l’idea di cercare di ottenere un marchio di qualità per proteggere il prodotto e creano il Consorzio di Tutela del Cioccolato di Modica. Nonostante ne avesse pieno titolo, Franco Ruta non si candida a presidente del Consorzio, per evitare che il suo ruolo potesse arrecare fastidi agli altri produttori. Alla presidenza viene eletto un altro artigiano, Tonino Spinello.
Il Comune propone di ospitare l’edizione 2005 di Eurochocolate e la cosa si ripeterà nei tre anni seguenti. Accade che, nel 2006, la cartella stampa della manifestazione riporta un’immagine della confezione della cioccolata prodotta dalla Dolceria Bonajuto e ciò suscita l’immediata, negativa, reazione di alcuni associati del Consorzio: i Ruta decidono di uscire dal Consorzio stesso.
Ne parliamo con Pierpaolo Ruta, figlio di Franco, che oggi guida l’azienda proseguendo l’attività di famiglia, giunta alle sesta generazione.
Pierpaolo, la rottura con il Consorzio ha anche altre ragioni, è corretto?
«Non abbiamo condiviso il testo del disciplinare, per come è stato scritto. Ci sono delle motivazioni ben precise. Tra tutte, la scelta della strada di dimostrare una nascita anagrafica di questo prodotto nella città, che non corrisponde, secondo noi, alla sua reale storia. In poche parole si sostiene che il cioccolato di Modica sia nato in casa Grimaldi, sulla base del ritrovamento di alcuni documenti. Non si tratta solo dell’incongruenze delle ricette, che prevedevano ingredienti come muschio bianco, ambra grigia e altre componenti ben lontane dalla ricetta originale. Non si può, a nostro parere, assolutamente affermare che questa tipologia di cioccolato nasca nella città di Modica. Il percorso parte dal Sud – America, passa per la Spagna e arriva in Sicilia finendo, poi, a Modica».
C’era un’alternativa percorribile per arrivare all’IGP?
«Ritengo di si. Il nostro desiderio era quello di arrivare all’ottenimento del marchio con un disciplinare condiviso e più attinente alla realtà. Avevamo il timore che il prodotto potesse essere svilito da politiche commerciali troppo aggressive. Idea non comune ad altri produttori che, ad esempio, vedevano di buon grado un ingresso in grande distribuzione organizzata. Riconosco al Consorzio, che più che altro rappresenta, ad oggi, un’associazione di produttori, di avere fatto una vera e propria operazione di pressione nei confronti dell’Unione Europea, che stava riscrivendo il pacchetto qualità e tutta la legislazione relativa ai marchi di tutela comunitaria, riuscendo a far inserire il termine cioccolato tra i prodotti che potessero ambire all’IGP».
Quanto fa male, oggi, non poter definire il vostro cioccolato “di Modica”?
«Dispiace, più che altro, per i nostri tanti rivenditori, per i quali noi siamo sempre stati cioccolato di Modica per antonomasia. Forse loro hanno sofferto un po’ di più. Si è, purtroppo, innescato un meccanismo per cui quando un ignaro rivenditore propone, senza mala fede, la dicitura cioccolato di Modica accanto al nostro ciò lo renda sanzionabile. Devo dire che, spesso, questa cosa viene utilizzata per dare fastidio, anche attraverso segnalazioni anonime».
Cosa pesa di più?
«La mancata riconoscenza nei confronti di una persona che ha dedicato la sua vita alla rivalutazione del cioccolato di Modica, mi riferisco a mio padre Franco Ruta. Per il resto, ritengo che sia un peccato per l’occasione persa. Per l’intero territorio. Più volte ho richiesto, nel corso degli anni, di non interfacciarmi solo con il vertice di questo consorzio, ma di avere la possibilità di un confronto con tutti gli altri produttori, cosa che, purtroppo, non è mai avvenuta. Sarebbe bello uscire dal gioco dei ruoli, perché la questione cioccolato di Modica non era, a mio parere, esclusivamente un fatto commerciale.
Un auspicio per il futuro.
Mi auguro che il cioccolato di Modica possa trovare, nuovamente, un ruolo di centralità e abbandonare, definitivamente, percorsi che rischiano di banalizzarlo.
“Altro richiamo per restare alla gola è quello del cioccolato di Modica e quello di Alicante: un cioccolato di due tipi, alla vaniglia e alla cannella, da mangiare in tocchi o da sciogliere in tazze: di inarrivabile sapore, sicché a chi lo gusta sembra di essere arrivato all’archetipo, all’assoluto, e che il cioccolato altrove prodotto – sia pure il più celebrato – ne sia l’adulterazione, la corruzione”.
La Contea di Modica, di Leonardo Sciascia