PALERMO – Ogni città, con i nomi delle sue strade, è una piccola enciclopedia della storia. Della propria in particolar modo. E la storia, quando è raccontata con onestà, aiuta e insegna. Uno dei cardini di questa onestà è la intelligenza della memoria, cioè la capacità di ricordare uscendo dalle nebbie, artefatte da chi ha avuto interesse a dimenticare. E, lo sappiamo, sono tante le verità ancora avvolte dall’incertezza giudiziaria o archiviate. Alcune imbarazzanti.
Ora a Palermo, usciti dalle suggestioni orlandiane ed entrati nel tempo delle concretezze leali di Roberto Lagalla, abbiamo lo spazio per fondare una nuova crescita, una nuova civiltà, una nuova cultura. Qui mi soffermo sulla toponomastica, cioè sui nomi delle strade, quelli utili a crescere ricordando.
Sappiamo che Palermo è anche città di vittime, di eroi civili. Di morti per mano criminale. Un elenco lungo, doloroso, vergognoso, ma anche valoroso perché è quello dei nomi di uomini e di donne che hanno perso violentemente la vita perché dediti al bene della collettività, contro il suo male. Però in questa enciclopedia urbana dalle pagine d’asfalto manca certamente un nome, quello di una vittima inusuale, vittima della verità sfregiata: il maresciallo dei carabinieri Antonino Lombardo. Pur senza nominarlo, era stato accusato, durante il programma tv Tempo reale di Michele Santoro, dai sindaci di Palermo e Terrasini Leoluca Orlando e Manlio Mele, d’essere colluso con la mafia.
Accadeva il 23 febbraio 1995. Lombardo, ormai non più a Terrasini da qualche anno, ma nel ROS, tra i protagonisti della individuazione e della cattura di Totò Riina, sarebbe dovuto partire tre giorni dopo, il 26, per Memphis, negli USA. Infatti il boss lì detenuto Gaetano Badalamenti – poco tempo prima – aveva detto d’essere disposto a venire in Italia soltanto se accompagnato da Lombardo, per dare informazioni importanti seppure non da “pentito”. Quanto avvenne in studio – io ero lì presente – si può leggere in queste pagine. Quelle accuse contro Lombardo ne provocarono l’immediata delegittimazione e la Procura di Palermo gli revocò la fiducia e l’incarico di portare il boss Badalamenti in Italia. Nei giorni successivi a quelli delle accuse televisive accaddero attorno a Lombardo fatti drammatici, fatti tragici.
Sul web si trova tutto. Anche sull’epilogo del 4 marzo. Fu in questo giorno che Lombardo morì, con un colpo di pistola alla tempia destra, all’interno di un’auto parcheggiata nel cortile della caserma Bonsignore, a Palermo, sede del comando regionale dei CC. Il fatto fu archiviato come suicidio, ma molti non ne siamo rimasti convinti. Anzi, i figli di Lombardo, Rossella e Fabio, hanno sempre “gridato” che il loro padre sia stato ucciso ed hanno portato inquietanti ragioni documentali a sostegno di quest’accusa. E’ uno scenario che richiederebbe un’analisi a parte. Qui parliamo d’altro; parliamo della calunnia subita da Lombardo in tv a causa delle parole di Orlando e Mele. La Cassazione su questo tema concluse assolvendo giacché, anche se il maresciallo era certamente probo, valoroso e fedele, chi lo aveva accusato lo aveva fatto in buona fede, credendolo colluso. Qui parliamo, quindi, di una verità sfregiata, delle sue conseguenze tragiche, ma anche delle tante domande di verità connesse alla mancata trasferta di Badalamenti in Italia, conseguenza di quelle accuse in buona fede. Qualcuno, comunque, ha tratto una qualche utilità dalla delegittimazione di Lombardo e dalla sua morte imprevista?
Credo che l’assessore alla Cultura e alla Toponomastica di Palermo, Giampiero Cannella, valuterà l’importanza e la costruttività morale di intitolare una strada al Maresciallo Antonino Lombardo, vittima della Verità sfregiata. Non sarebbe un ristoro, ma un monito esemplare. Sarebbe un modo per affermare che, accanto alla lotta alla mafia, a Palermo si difende anche la Verità.