Nel trentaduesimo anniversario della strage di via D’Amelio, il pensiero scritto per LiveSicilia.it da Carolina Varchi, segretario di presidenza della Camera dei deputati e capogruppo di Fratelli d’Italia in Commissione giustizia
Paolo Borsellino ha rappresentato per me un altro modo di concepire l’esistenza. Avevo otto anni quando è stato ucciso ma ricordo chiaramente la sensazione che quella morte, sebbene non fosse un parente o un amico di famiglia, riguardasse ciascuno di noi.
A quel tempo, in Sicilia, andava di gran moda la moderazione, ma non nel senso virtuoso del termine. Si intendeva la moderazione come l’idea che si potesse essere moderatamente onesti, moderatamente ligi al dovere, moderatamente legati alla propria terra.
La vita di Paolo Borsellino, invece, è stata improntata all’estrema intransigenza. E a me piace ricordarlo non solo per la morte ma anche e soprattutto per la vita.
Intransigenza nell’esercizio del proprio dovere, nella fedeltà totale ai valori in cui credeva, nella lealtà assoluta verso lo Stato anche se capì, almeno alla fine, che pure una parte di esso era contro di lui, intransigenza nell’amore incondizionato per la sua terra.
Avevo otto anni nell’estate del 92 quando ebbi per la prima volta un’idea del magistrato Borsellino. Poi, quando a 17 anni sono entrata in Azione Giovani, in qualche modo conobbi l’uomo. Soprattutto dai racconti dei militanti più “anziani” che con lui condivisero gli anni dell’attivismo politico del Fuan – Caravella. Mi raccontarono l’intransigenza dell’uomo Borsellino, senza se e senza ma.
La partecipazione alla prima fiaccolata del 19 luglio fu una grande emozione. In quel surreale silenzio dalla Statua fino a via D’Amelio, il saluto della signora Agnese alla partenza, lo striscione “Paolo Vive”, le fiaccole e l’inno nazionale sul luogo della strage, la raccomandazione (da noi prontamente recepita) di Rita Borsellino (“non lasciate le fiaccole per terra che poi la cera imbratta la base del monumento”) con quel sorriso che certificava il superamento di ogni divisione politica nel ricordo dei nostri eroi, la passione di Salvatore Borsellino con cui abbiamo condiviso la via D’Amelio negli ultimi anni.
Emozioni irripetibili che da sole valevano e valgono tutti i sacrifici che spesso la militanza politica impone a dei ragazzi come eravamo noi.
Trasformare le persone in eroi spesso li rende lontani ed inarrivabili. La vita di Borsellino, prima ancora della morte, dimostra che è possibile essere diversi. Essere esempio in un mondo in cui trionfa l’individualismo, questo è il più grande insegnamento che idealmente mi ha lasciato Borsellino.