Sindaco, a Messina ho fatto il militare tanti anni fa. Ricordo una città brutta. Adesso com’è?
“Bellissima”.
E com’è Renato Accorinti, primo cittadino della suddetta Messina, protomartire della nuova politica che si impasta – dice lui – dal basso, lasciando perdere partiti, partitini, partitucoli, consorterie e casta? Una definizione potrebbe andare bene: un eretico, ma ciò non significa per forza un santo. Che Renato posi un po’ da pezzo unico o sia davvero un’eccezione, uno scherzo benigno dei tempi, è affare che riguarda soprattutto i suoi concittadini, i soli deputati a un giudizio sulle cose concrete. Il cronista per mestiere diffida del fascino di una interessante conversazione di tre quarti d’ora: ben altre prove sono richieste ai comandanti in capo.
Tuttavia, che il sindaco Accorinti – palermitano per un pomeriggio al Festival della politica di Villa Filippina – si muova in odore di eresia, rispetto alla piattezza del contesto, appare accertato, anche se ha dovuto cedere alle lusinghe dell’ortodosso telefonino per ragioni del suo ufficio. Qui risponde alle domande, a briglia sciolta. Tra il bozzetto oleografico che gli hanno cucito addosso (e che il nostro ha probabilmente accettato) e il nocciolo duro delle questioni sul campo. Una su tutte: il senso residuo della politica in un’epoca di naufragi tragici o metaforici.
Sindaco Accorinti: innanzitutto, come va?
“E’ un disastro, perciò sono soddisfatto”.
Cosa è un disastro?
“La situazione non si mostra semplice, ma ce la mettiamo tutta”.
Dunque, Messina è bellissima.
“Sì. E’ stata devastata dalle bombe, dal malgoverno. Era straordinaria, sai? Un posto unico per l’umanità. I miei parenti mi rimproverano: come mai ti appassioni tanto? Non cambia mai niente. Invece cambia, cambia. Sai quale è il problema? Non ci sono più gli occhi adatti per vedere la bellezza”.
Parliamo di politica?
“No, ancora no. Parliamo degli uccelli che passano per lo Stretto in occasione delle migrazioni. E’ uno spettacolo affascinante”.
E la politica?
“Per me è il lavoro, senza riposo. Io mi alzo la mattina alle sette e finisco alle due di notte. Mi fermano per strada, mi abbracciano, mi applaudono”.
Perché?
“Il cammino è stato lungo. Non sono un uomo solo. Prima mi odiavano. Poi, venne il tempo della distanza. Ora, il consenso. Un vigile mi ha detto: ‘Sai Renato, quando sei salito sul pilone (in una celebre manifestazione, ‘no ponte, una delle tante battaglie radicali e ambientaliste di Accorinti, ndr) ho pensato che eri un cretino. Mi sono ricreduto, avevi ragione tu’. La gente mi vuole bene”.
Una lunga militanza.
“Ho combattuto in campagne di ogni tipo, sempre nel segno della bellezza. E mi chiedevano: ti candidi? Potevo diventare deputato, un bel posticino protetto, con tanti soldi. Non mi interessava. Volevo la spinta dal basso, perché la vera politica nasce da lì. Non avrei accettato situazioni parziali o ambigue. Alla fine, come diceva quel vigile, ho avuto ragione io. Ti spiego una cosa, a costo di sembrare arrogante, non ho mai perso”.
Mai?
“No, perché per me l’essenziale non è vincere, ma tracciare una strada giusta, anche se non ne vedrò la fine”.
E qui siamo nella sintesi teorica più alta della politica
“Non mi piace un popolo che sia come un condominio: ognuno rinchiuso nel suo piccolo. Preferisco costruire comunità. Del resto, del potere, del denaro, non mi frega niente”.
La Sicilia è una trama di potere e di denaro, di sudditi e signorie.
“C’è pure questo. In Sicilia e a Messina. C’è pure il malessere. Nella mia città la mafia e il malcostume hanno avuto grande spazio. Ed è nata una reazione, la ribellione. Bisogna avere la pazienza di aspettare”.
La ribellione? Crocetta la definirebbe una rivoluzione.
“Ho un ottimo rapporto con Rosario. Ha una parte di anima sincera e buona”.
Condivide tutto del suo operato?
“Qualcosa sì, qualcosa no”.
Perdoni la curiosità. Cosa no?
“Non mi è piaciuto come Rosario, per esempio, ha gestito la vicenda di Battiato. Si capiva che non poteva fare l’assessore, era troppo impegnato. Mi ha deluso un po’. Glielo dirò”.
Si sente un po’ Crocetta?
“No, i percorsi sono diversi. Lì siamo nell’ambito della politica tradizionale, dei partiti, delle decisioni dall’alto, delle scelte prese in una stanza chiusa. I partiti sono contaminati. Io sto con la terra, la polvere. Io sto col popolo. La mia è un’altra storia”.
Si definirebbe di sinistra?
“Non giudico le persone a priori. Certo, ho una visione radicale. Però il Pd non lo tocco nemmeno con la punta della canna da pesca. La politica giusta per me è spiritualità, altruismo, un atto d’amore”.
Troppo bello per essere vero.
“Eppure è vero. Quando sono andato nei quartieri più infami di Messina mi hanno accolto a braccia aperte. E quanta umanità ho trovato nei cosiddetti ultimi”.
Più che di sinistra, Renato Accorinti parrebbe quasi un grillino, affermano le malelingue.
“Sono amico di Beppe. Non condivido tanto di quello che fa. Lui dice che uno vale uno, ma Grillo di più. E non accetto il suo linguaggio: mai offendere la dignità delle persone. Vale per tutti, perfino per Berlusconi”.
Berlusconi?
“Non esistono nemici. Berlusconi non è sbagliato. L’errore più grande è il berlusconismo dentro di noi”.
Il motto di Renato l’eretico
“La vita è un viaggio”.
Il dispiacere.
“Sono insegnante. Lasciare la scuola mi ha tagliato via il cuore”.
La paura.
“Ti rispondo con Martin Luther King: più delle parole dei violenti, temo il silenzio degli onesti”.