PALERMO – L’appello del pubblico ministero è durissimo. Si propone di smontare, punto per punto, il provvedimento di dissequestro del patrimonio degli imprenditori Niceta. Il Tribunale per le misure di prevenzione di Palermo sarebbe caduto in una “insanabile contraddizione tra i principi di diritto e le conclusioni”. Nelle venti pagine depositate in Corte d’appello il pm Pierangelo Padova usa aggettivi come “paradossale” e “irragionevole”.
La vicenda Niceta va oltre il caso specifico degli imprenditori palermitani per anni leader nel settore dell’abbigliamento. Confermare il dissequestro significherebbe, secondo la Procura, smentire l’intera normativa su cui si basano le Misure di prevenzione. Come dire, la legge prevede una cosa ma il Tribunale ne avrebbe fatta un’altra. Ecco perché viene chiesto ai giudici di appello di annullare il dissequestro e di sospenderlo nell’attesa della nuova decisione.
Con l’atto di appello la Procura finisce per allontanare, seppure indirettamente, il sospetto che i sequestri siano stati il frutto della malsana gestione dell’ex presidente Silvana Saguto, radiata dalla magistratura e sotto processo a Caltanissetta. È stata la Procura a proporre i sequestri, come nel caso Niceta, e non ha alcuna intenzione di fare un passo indietro.
Innanzitutto il pm ricorda che il collegio delle Misure di prevenzione presieduto da Raffaele Malizia, giudice estensore Vincenzo Liotta, definisce Mario Niceta, il padre dei fratelli Massimo, Mario e Olimpia, un “imprenditore mafioso”. Ne limita, però, temporalmente la condotta illecita, tanto da ritenere puliti, da un determinato anno in poi, i suoi interessi commerciali e da escludere la pericolosità sociale dei figli. In particolare, il collegio ha ritenuto che le loro condotte non possono essere considerate “funzionali agli scopi del sodalizio”. La posizione dei figli colpiti dal sequestro viene fatta rientrare nell’ambito della “mera contiguità”, come stabilito da una sentenza del 2018 delle sezione unite della Cassazione.
Ed ecco il primo affondo del pm: la sentenza riguarda una situazione diversa da quella dei Niceta e cioè la necessità di accertare o meno l’attualità della pericolosità sociale anche per gli indiziati di appartenere alla mafia. Un caso che nulla c’entrerebbe con le misure di prevenzione dove, secondo il pm, non è necessario dimostrare l’esistenza di un contributo specifico del proposto (il soggetto che subisce il sequestro, ndr) in favore dell’associazione mafiosa. Se così fosse, fa notare Padova, verrebbe abrogato l’intero sistema delle misure di prevenzione.
In ogni caso è la stessa definizione di “mera contiguità” che il pm non ritiene fondata, visto che gli stessi giudici che hanno restituito i beni – ed ecco una nuova presunta contraddizione – parlano di “appoggio, protezione, intermediazione che i Niceta hanno continuato a cercare e chiedere anche in tempi recenti” a mafiosi del calibro di Giuseppe e Filippo Guttadauro. “Come può considerasi mera contiguità – si interroga il rappresentante dell’accusa – la condotta di chi chiede appoggi, protezione e intermediazione a pericolosissimi esponenti mafiosi?”.
Altra punto del dissequestro contestato nell’atto di appello è la demarcazione che la sezione delle Misure di prevenzione fa tra il periodo in cui Mario Niceta è stato un “imprenditore mafioso” e quello successivo e pulito dell’imprenditore. “Mario Niceta – scrive il pm – almeno fino al 2007 ebbe un ruolo decisivo nell’apertura dei punti vendita nel centro commerciale Belicittà per avere stretto accordi con Filippo Guttadauro, per avere partecipato a un incontro con Giuseppe Grigoli, titolare del centro commerciale, imprenditore mafioso e prestanome di Messina Denaro”. Ce n’è abbastanza per fare emergere una “comunione condivisione di regole e di riconoscimento dell’autorità di soggetti intranei al sodalizio mafioso”.
Il Tribunale, però, non ne avrebbe tenuto conto. Così come non avrebbe tenuto conto delle dichiarazioni di Angelo Niceta, cugino dei proposti e grande accusatore. Seppure ritenute “credibili” le sue ricostruzioni, sostiene il pm, “non sono state adeguatamente valorizzate dal primo giudice”, ma considerate come “mero spunto investigativo”.
Altro affondo del pm riguarda la circostanza che i giudici delle Misure di prevenzione hanno considerato una “preclusione” il fatto che la maggior parte del materiale probatorio fosse già stata vagliata in altri procedimenti. In particolare, nell’inchiesta penale per intestazione fittizia e nella misura di prevenzione dei negozi di Belicittà, chiuse entrambe con un esito favorevole per i Niceta: “La preclusione sbagliata – scrive il pm – ha impedito di valutare che il processo riguardava un periodo più ampio, che investiva anche le attuali attività dei Niceta”.
Ed ancora: non si è tenuto conto della motivazione con cui la Corte d’appello, pur escludendo l’ipotesi di intestazione fittizia, sottolineava l’esistenza di “un vero e proprio rapporto societario definito di reciproca collaborazione fondato sugli accordi a suo tempo conclusi da Filippo Guttadauro e Mario Niceta e proseguito con profitto dai rispettivi figli”.
Padova spiega che ci sarebbero “profili di allarmante pericolosità sociale che si sono estesi all’intero percorso esistenziale dei proposti e la confisca si sarebbe dovuta estendere all’intero patrimonio aziendale e personale senza necessità di effettuare alcuna perimetrazione temporale”. Una “perimetrazione” che la Cassazione prevede in caso di pericolosità semplice e non qualificata come quella che viene contestata ai Niceta. Il più grave errore del dissequestro consisterebbe nel non avere tenuto conto del “vizio genetico alla base del successo imprenditoriale di Mario Niceta e dei suoi figli”.
Il Tribunale ha stabilito che esiste un prima e un dopo nella vita di Niceta senior. Fino a un certo punto ha goduto dell’accordo illecito con la mafia, poi avrebbe percorso una strada pulita. Secondo il pm, si tratta di una “arbitraria e irragionevole cesura fra le vicende del padre e quella dei figli… è ben possibile che il proposto abbia acquistato beni ricavando la necessaria provvista dalla contestuale vendita di altro cespite acquistato anche molti anni addietro in situazione di accertata sperequazione finanziaria. È evidente che anche quest’ultimo bene dovrebbe considerarsi frutto di reimpiego di denaro d’ignota provenienza… orbene la metodologia adottata dal Tribunale finisce col ritenere legittime le entrate derivanti dal reimpiego di beni acquistati in precedenza e in condizioni di sperequazione… si giunge alla contraddittoria e paradossale conclusione secondo la quale pur ipotizzando una iniziale riconducibilità dei patrimoni dei fratelli Niceta al padre nel periodo di pericolosità sociale di quest’ultimo non si sono registrati investimenti e acquisti incompatibili con le risorse accumulate, così in sostanza giungendo a giustificare rilevanti sproporzioni che hanno sicuramente caratterizzato i periodi decisivi delle attività imprenditoriali dei proposti”.
La reazione di Niceta alla notizia dell’appello della Procura non si è fatta attendere. Massimo Niceta l’ha affidata ad un post su Facebook: “La domanda a questo punto resta una. Dopo 5 anni di procedimenti due giudizi di primo grado, Trapani e Palermo, un giudizi in corte di appello e una archiviazione in sede penale, cosa bisogna fare per potere tornare a lavorare e produrre in questa terra maledetta? Possibile mai che tutto questo non è bastato?? Andiamo avanti sempre e comunque a testa alta”.