Sono padri di famiglia. Persone che hanno un mutuo da pagare, altri che la casa l’hanno persa. Gli operai metalmeccanici della Keller sono “in mezzo a una strada”. Perchè non sanno cosa li attenderà dopo la notizia dei 204 licenziamenti ricevuta via fax. Perchè si sono ritrovati a manifestare davanti a Palazzo D’Orleans, “l’unica via” che gli è rimasta. Hanno paura, la stessa vissuta in fabbrica da chi pensava che avrebbe fatto meglio a stare zitto per non rischiare la cassa integrazione. Ora però non gli è rimasta neanche quella. La loro azienda vive da vent’anni un periodo di crisi: “Dal 1990 siamo stati spesso in cassa integrazione” racconta Franco Lo Piccolo, 45 anni. “Si va avanti così, facendosi aiutare da genitori, parenti. Io ho anche due figli grandi. Per adesso siamo bloccati, staremo a vedere dove ci porteranno”. L’alternativa la vede solo “in un lavoro in nero, a pochi soldi”.
“Che dobbiamo fare, la rivoluzione?” si chiede Salvatore Falzone, 58 anni, guardando i suoi colleghi. “C’è chi ha un mutuo da pagare, chi ha figli. Io ne ho due già grandi, – continua – ma ho mia moglie. Vivo allo Zen, sono assegnatario e ho potuto comprare la casa quando lavoravo e stavo bene. Adesso…”. Adesso c’è chi pensa ai suoi anni di lavoro passati all’estero, e chi invece all’estero spera di riscattarsi in futuro.
Ivan Giordano, per esempio, lavora alla Keller dal ’99, ma la maggior parte del tempo lo ha passato in cassa integrazione. Sente che lui e suoi colleghi sono stati “il giocattolo dell’azienda, della politica locale e nazionale”; ha 40 anni, una figlia, ma uno sguardo azzurro ancora pieno di speranza: “Credo che il futuro di mia figlia sarà all’estero. Anche qualifiche come la mia penso che possano essere prese più in considerazione fuori dall’Italia… finchè si ha la forza di partire”. Ma c’è chi come Giorgio Destro, 44 anni, sa che “spostarsi da qui non è facile, con moglie e figli, anche perchè tutto il mondo sta vivendo una forte crisi. Sono due anni che siamo in cassa integrazione. È dal 26 ottobre che non riceviamo soldi e non si capisce chi ce li deve dare. Il ministro stesso non ha accettato la cassa integrazione, la ditta è inaffidabile. L’unica arma che loro hanno è quella del ricatto e anche questa mobilità potrebbe esserlo”.
Così si sentono “presi in giro”, come Francesco Valenti, 61 anni, padre di due figli maggiorenni, ma disoccupati. Ha lavorato in Germania per undici anni, anche lì nel settore della metalmeccanica, senza sapere, adesso, se “quegli anni di lavoro potranno essere validi per il pensionamento. Noi – continua – abbiamo dato tutto per lavorare, ma se per fare l’imprenditore basta ricattare gli operai, allora posso farlo anch’io”.
Guardano anche al quadro nazionale, Mirafiori in primis: “Quello che sta succedendo in Fiat – dice Vincenzo Mamone, 55 anni – è l’ennesimo attacco allo statuto dei lavoratori, ci stanno riducendo alla schiavitù. Noi vogliamo lavorare ma con le giuste modalità, vorremmo che l’azienda ci fornisse tutto il materiale: ci siamo portati anche il cacciavite da casa per un periodo, pur di non fermarci”. Così non accettano le accuse di assenteismo, perchè “i controlli in questo senso – continua Mamone – sono sempre stati fatiscenti”. Con solo trentasette anni di contributi, non può andare in pensione. Pensando ai suoi cari la voce si riduce a un filo e dietro alle lenti scure, gli occhi si fanno lucidi: “Quando in una famiglia manca il fabbisogno generale… insomma c’è chi ha perso anche la casa. La gente nega, ridiamo, scherziamo; ma in vent’anni non hanno fatto altro che farci impoverire”. Lui lavora alla Keller dall’ ’84: “Ricordo come i primi dieci anni fossero floridi. Piano piano ci hanno tolto i premi sulla produttività: aumentava la produzione ma la busta paga restava sempre quella”. Continua ad asciugarsi gli occhi mentre parla, sulla strada, davanti a palazzo d’Orleans: “Ho tanta rabbia” dice, anche verso questa Sicilia, “terra di nessuno”.