Abdoulaye Keita e Laura Salafia |Un’amicizia nata in ospedale - Live Sicilia

Abdoulaye Keita e Laura Salafia |Un’amicizia nata in ospedale

La studentessa catanese, vittima della sparatoria di piazza Dante, è diventata un punto di riferimento per Abdoulaye Keita. Il 29enne originario del Mali, giunto in Italia per scampare alla guerra, è ricoverato all’Unità Spinale del Cannizzaro per una colluttazione all’interno del Cara di Mineo.

Laura Salafia a e Adboulaya Keita

Catania – Una storia non intreccia mai per caso un’altra. Nell’era di internet l’amicizia può ancora nascere lontana dalle classiche “location” virtuali. La corsia di un ospedale che avvicina. La sofferenza che mette a dura prova il corpo, ma mai il cuore. All’Unità Spinale del Cannizzaro la Sicilia non è mai stata più vicina al continente africano. Da un lato Abdoulaye Keita, dall’altro Laura Salafia. Due vicende apparentemente lontane, accomunate però da uno stesso “leit motiv”: essersi trovati al posto giusto al momento sbagliato. Abdoulaye, classe 84, è originario del Mali, uno stato dell’Africa occidentale a sud dell’Algeria. È qui che vive la sua fanciullezza e comincia a sognare rincorrendo un pallone. La grande opportunità arriva quando una società calcistica, lo Stade Malien, decide di scommettere su di lui. Così trascorre le sue giornate impegnando anima e corpo, immaginando quell’Italia in cui giocatori del suo continente sono tanto apprezzati.

L’occasione per approdare in quella terra non tarderà ad arrivare, anche se non come aveva immaginato. Niente contratti in prestigiose società sportive, solo la guerra a seguito del colpo di stato del marzo 2012 e dell’offensiva dei tuareg e degli islamisti che lo costringe a lasciare il Mali alla volta di Lampedusa. Un viaggio della speranza di cui Abdoulaye, ancora oggi, non vuol parlare. Dall’arcipelago delle Pelagie, come da prassi, approda a Catania. Da qui a poco verrà trasferito al Cara di Mineo. Nella struttura di accoglienza trascorre le sue giornate in compagnia degli altri. Ma un giorno, una colluttazione con un altro ospite gli costerà caro: la tensione è alle stelle quando gli venne scaraventato sulla schiena un televisore. Quei momenti Abdoulaye non li dimenticherà mai e nemmeno le conseguenze: la perdita, ironia della sorte, dell’uso degli arti inferiori con il ricovero al “Cannizzaro”. Una condizione difficile da accettare per chiunque, specialmente per chi ha i cassetti colmi di sogni. Per chi deve affrontare il problema da solo, senza il conforto di una famiglia, senza l’abbraccio di un amico in grado di alleviare il dolore di dover appendere al chiodo le proprie scarpette per sempre. Parla in francese Abdoulaye e la non accettazione della sua situazione lo rende restio nei confronti di tutti.

Di tutti tranne di chi con la propria sensibilità è in grado di aprire gli animi più ermetici. Ci riesce Laura Salafia, la studentessa catanese vittima innocente di una sparatoria avvenuta nel luglio del 2010 in piazza Dante che le causò una lesione al midollo spinale e la paralisi dal collo in giù. “L’amicizia con Abodoulaye – spiega Laura dal suo letto del Cannizzaro – è nata pian piano. In un reparto in cui i pazienti sono tutti sulla stessa barca è difficile non socializzare. Basta dimostrare agli altri disponibilità per capire che l’altro si può fidare di te.

Ciò che più ti colpisce di Keita è il suo grande altruismo nonostante sia un ragazzo che a questo mondo non ha più una mamma e un papà, tantomeno amici che abitano in Sicilia: una sera insieme alla mia compagna di stanza avevamo la necessità di fare una ricerca su internet, essendo sprovviste di computer abbiamo pensato di chiedere ad Abdoulaye se per caso poteva prestarci il suo nuovo di zecca. L’infermiera è andata nella sua stanza e lo ha trovato intento a guardare sul web una partita, ma appena ha saputo che serviva a noi non ha esitato un solo istante a rinunciare al match. Il suo è stato un gesto che ho apprezzato tantissimo perché per chi vive in ospedale e spesso si trova a dover fare i conti con ore ed ore di solitudine anche un computer può rappresentare uno strumento importante di sfogo. L’indomani, quando lo incontrai in corridoio, ringraziandolo mi rispose: “Laura tu non ringraziare me. Amicizia vale più di computer”.


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