Boss a Mattarella: "Fucilatemi" Ecco chi è Turi Cappello LiveSicilia

Boss a Mattarella: “Fucilatemi”|Ecco chi è Turi Cappello

Detenuto da 23 anni al 41bis, il capomafia catanese ha scritto una lettera al Presidente della Repubblica.

ROMA – “Chiedo di essere fucilato nel cortile dell’istituto, così la facciamo finita perché, dopo 24 anni, non voglio più morire tutti i giorni, voglio morire una sola volta”. Si apre così la lettera che il capomafia catanese Salvatore Cappello, da 23 anni al 41 bis, ha indirizzato al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. La missiva è stata divulgata – da quanto ricostruisce l’AdnKronos – da Yairaiha Onlus. “L’ha spedita direttamente lui e ha chiesto a noi di divulgarla”, confermano a LiveSicilia direttamente dall’associazione che si batte da anni per i diritti dei detenuti.

Il boss scrive a Mattarella

“Alla S.V. Illustrissima – scrive Cappello al Capo dello Stato – affinché intervenga a far eseguire la condanna inflittami dalla Corte d’Assise di Catania e Milano cioè la condanna a morte nascosta dietro la parola ergastolo, con fine pena 9999, cioè fine pena mai”. ”Non intendo impiccarmi o suicidarmi – si legge ancora nella lettera indirizzata a Mattarella – perché l’ho visto fare tante di quelle volte che non voglio pensarci. Siete voi che dovete eseguire la sentenza”. La missiva è molto lunga, il ‘padrino’ descrive anche la vita da “detenuto al carcere duro”. Cappello scrive a Mattarella che è da “10 anni” che ha dato “un taglio a tutto per amore dei figli”. E sarebbe per loro, per i figli, “che” Cappello “chiede la fucilazione”. Un atto di ‘grazia’ – quello chiesto dal detenuto catanese – assolutamente contrario ai valori fondanti dell’ordinamento giudiziario italiano. Forse, dunque, un modo (provocatorio) per attirare l’attenzione e riaprire il dibattito sulle condizioni del carcere duro e dell’ergastolo ostativo. O semplicemente per ottenere benefici.

Il profilo del capomafia

Ma chi è Salvatore Cappello? Capomafia e killer spietato. È tra i protoginisti della mattanza che a Catania si è consumata tra gli anni 80 e 90. Arrestato da latitante a Napoli nel 1992 insieme al suo fidatissimo Ignazio Bonaccorsi. Un legame da cui poi nasce il binomio mafioso – ancora attualissimo – della famiglia Cappello-Bonaccorsi. Turi Cappello era una sorta di delfino del boss Salvatore Pillera (detto Turi Cachiti) che dopo il suo arresto lo scelse come suo ‘erede criminale’. Una decisione che scatenò la rabbia di Pippo Sciuto ‘Tigna – poi ucciso – che dichiarò guerra ai Cappello, affiancato dai Laudani. La faida provocò centinaia di morti. Catania e provincia erano una polveriera con sangue sulle strade e sirene di forze dell’ordine e ambulanze in ogni angolo della città. I pentiti raccontano che ‘nonostante la detenzione’ il capo indiscusso – quello che porta il nome – è Turi Cappello. Che – per la cronaca – sta affrontando un processo attualmente in corso a Catania scaturito dall’inchiesta Penelope, eseguita nel 2017. Per la Procura catanese, nonostante il 41bis, Salvatore Cappello sarebbe riuscito a “mantenere i rapporti” con “l’esterno” attraverso i colloqui in carcere con i familiari. Ed in particolare con la storica partner Maria Campagna, anche lei imputata nello stesso procedimento penale. Inoltre qualche anno fa sono state “intercettate” delle lettere che secondo la magistratura avrebbero permesso a Cappello di comunicare. Non è la prima volta che il boss catanese è protagonista di particolari “corrispondenze epistolari”. Nel 2005, nell’inchiesta Ramazza il boss sarebbe riuscito a “mandare ordini ai suoi affiliati attraverso fotomontaggi realizzati grazie a un computer e una stampante che aveva a disposizione in carcere”. Tra i fotomontaggi, inseriti nei faldoni del fascicolo d’inchiesta, uno in cui Cappello manipolò una foto di gruppo del team della Ferrari: sovrappose la sua faccia a quella del pilota Michael Schumacher, e incollò i volti dei boss Giuseppe Garozzo e Ignazio Bonaccorsi sopra i visi rispettivamente di Jean Todt e Luca di Montezemolo. Un sistema, secondo gli investigatori, usato da capomafia per far sapere ai suoi picciotti quali erano le alleanze criminali in quel periodo. 


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