Il 'postino' di Messina Denaro: "È stata una bomba nella mia vita"

Il ‘postino’ di Messina Denaro: “È stata una bomba nella mia vita”

L'interrogatorio del dipendente comunale che ritirava le ricette del latitante

PALERMO – Non sapeva che le ricette ritirate dal medico Alfonso Tumbarello fossero in realtà di Matteo Messina Denaro. Era davvero convinto che a stare male fosse il cugino omonimo.

Andrea Bonafede, impiegato del Comune di Campobello di Mazara, ha respinto le accuse nel corso dell’interrogatorio di garanzia davanti al giudice per le indagini preliminari Alfredo Montalto subito dopo l’arresto per favoreggiamento aggravato e procurata inosservanza di pena, e cioè gli ergastoli inflitti a Messina Denaro.

Il verbale è stato depositato agli atti del Tribunale del Riesame che ha deciso di lasciarlo in carcere. La sua difesa non ha convinto anche perché ha negato di avere incontrato Messina Denaro, neppure casualmente in paese, ed invece c’è un video in cui si vede Bonafede fermarsi al volante della macchina del Comune e dialogare a distanza con Messina Denaro seduto all’interno della Giulietta.

Bonafede ammette, e non potrebbe fare altrimenti, di avere ritirato decine di prescrizioni a nome del cugino che ha prestato l’identità al padrino di Castelvetrano. Che andasse di continuo nello studio medico lo ha messo a verbale anche la segretaria di Alfonso Tumbarello.

Il rapporto con il cugino

“Mio cugino mi ha praticamente interpellato circa un anno fa, la signora (si riferisce alla segretaria) nell’ordinanza parla di due anni, ma io penso che sia circa un anno fa, non ricordo a memoria tutte queste cose, dicendomi che aveva un polipo maligno al colon, che si era fatto un intervento a Mazara (l’ospedale Abele Ajello di Mazara del Vallo dove Messina Denaro è stato operato la prima volta ndr) e che comunque doveva proseguire delle cure all’Ospedale Maddalena (La Maddalena è la clinica palermitana dove Messina Denaro è stato arrestato lo scorso 16 gennaio ndr) e, siccome non aveva detto niente ai suoi familiari, né ai figli che sono fuori, né a sua sorella, a suo cognato e a sua madre e siccome il medico era lo stesso del suo nucleo familiare, di sua sorella, sua madre e suo cognato, se io gli facevo la cortesia di andare a prendere queste ricette in modo che loro non lo incontrassero là e quindi non
potessero avere queste”. Insomma il cugino non voleva incrociare in studio i parenti a cui nulla aveva detto della sua malattia.

Non si era accorto di nulla

Non si era accorto che sulla carta il cugino stesse combattendo contro un tumore: “Dico, una cosa è un tumore allo stato terminale che uno si vede che sta male, sta morendo, una cosa è un polipo che oggi come oggi, diciamo si leva, si fa la chemioterapia e non dà strascichi dipende che tipo di malignità può avere questo polipo. Io non è che sono un medico e quindi leggo i referti e capisco cosa c’è, cioè, mi dava la ricetta. Erano tutti atti tecnici, non lo so, quindi non è che le so dire, già è difficile capire che cosa scrive un medico, pensi un referto, una relazione della Maddalena”.

“Se avessi saputo…”

Non ci fu bisogno di spiegarsi con Tumbarello perché “il medico lo sapeva che io andavo al posto di mio cugino perché sennò non penso che mi avrebbe mai dato… mi sembra che una volta me l’ha chiesto, dice: ‘Come sta?’ Ci dissi: ‘Ma a me sembra che sta bene’, solo questo. Poi, dottore, voglio dire una cosa, se
io avessi saputo che dietro tutta questa storia c’era quello che poi c’è stato, non credo mi sarei prestato a fare tutta questa cosa perché non vorrei e non volevo essere qui in questo momento, volevo essere a casa con la mia famiglia. Mi rendo conto della gravità, certo, sicuramente mi rendo conto, però, se posso dire una cosa, mi sta stretta questa cosa dell’associazione, io non sono un mafioso”.

Il rapporto zio-nipote

Mafioso e pure fedelissimo dei Messina Denaro era lo zio dell’indagato, Leonardo Bonafede. Una parentela che, secondo l’accusa, avrebbe spinto il capomafia a fidarsi dell’impiegato comunale: “Allora, con mio zio noi abbiamo avuto un rapporto zio e nipote, nel senso che mio zio mai mi ha coinvolto nelle sue cose, è stato il fratello di mio padre, è stata una persona importante, diciamo, tra virgolette, in questa famiglia, però non abbiamo avuto mai nessun tipo di legame per quanto riguarda il suo tipo di vita, cioè, lui ha fatto la sua vita, ha pagato i suoi errori, che mi risulti non ha mai coinvolto nessuno della mia famiglia nella sua vita. Per me era una brava persona”.

“Ho sempre lavorato”

Bonafede cerca di scrollarsi di dosso le accuse che gli muove il pubblico ministero Gianluca De Leo: “Io non faccio parte di nessun tipo di associazione, ho sempre lavorato per mantenere la famiglia, quindi, anche i carabinieri quando hanno fatto la perquisizione, hanno confermato che sono una persona tutta casa e lavoro, quindi non ho frequentato mai pregiudicati, anche se il paese è piccolo e può capitare frequentare qualcuno che sia pregiudicato però non frequento neanche bar per farmi solo la mia vita”.

Infine ribadisce che non ha incontrato Messina Denaro e neppure gli è stato presentato: “Quello che c’è stato è stata soltanto una bomba che è scoppiata e siamo qua e basta, cioè, dopo il 16 gennaio tutto è stato limpido e chiaro, tutto si è messo, come si suol dire, alla luce del sole”.

“Andare dai carabinieri? Ho avuto paura”

Appresa la notizia, però, Bonafede ha scelto di non presentarsi in caserma per chiarire la sua posizione: “Perché è difficile. Perché è difficile una cosa del genere, io sinceramente speravo di essere chiamato e di essere interrogato. Anche per paura sinceramente. Uno cerca di continuare a fare la sua vita in maniera coerente, mi aspettavo di essere chiamato sinceramente, anche lo stesso giorno o l’indomani, sono passati praticamente quattordici giorni, quindici giorni, e non mi aspettavo di essere arrestato, completamente, per me era una cosa impensabile questa”.


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