(Roberto Puglisi) Non moriremo democristiani, ma cuffariani, forse, sì. Non nel senso dell’adesione (c’è chi aderisce, comunque), ma perché è impossibile sottrarsi al Cuffarismo, in qualunque declinazione, come fenomeno di costume. Anche se Totò (nel senso di Cuffaro) va a consumare un gelato, è normale che qualcuno si ponga domande su mafia e antimafia e sul significato recondito della panna. Un ex presidente della Regione condannato per favoreggiamento a Cosa nostra rappresenta una ferita pubblica che niente potrà mai sanare, nella sua eco perenne. Tuttavia, dal punto di vista personale, l’ex inquilino di Rebibbia rivendica libertà di movimento, in politica come altrove, e chiede di essere lasciato in pace nella valutazione del presente. Ecco perché il Cuffarismo si pone come inquietudine inemendabile tra il peso di una colpa e il diritto di ricominciare. Un problema che ognuno risolve da sé, nei luoghi della sua coscienza, o nel diaframma delle polemiche politiche.
Il documentario su Cuffaro
Un altro argomento di discussione verrà aggiunto da un documentario sulla vita del protagonista che sarà proiettato, oggi pomeriggio, a Palermo. Recita la nota di presentazione: “‘1768 giorni’ è il titolo del documentario su Totò Cuffaro che verrà presentato e proiettato il prossimo 4 maggio, alle ore 18, presso il cinema multisala Politeama di Palermo. La pellicola del regista Marco Gallo, che ha seguito l’ex presidente della Regione dalla sua uscita dal carcere fino ad oggi, accompagnando e filmando i suoi giorni in Burundi, il periodo della pandemia, il ritorno in politica, racconta parte della sua vita, prima e dopo l’esperienza del carcere. Un documentario dove emerge il lato umano del politico. Il ricavato della serata sarà interamente devoluto all’associazione Aiutiamoilburundi onlus e contribuirà a far vivere e studiare i tanti bambini orfani del Burundi”.
Totò (Cuffaro) a colori
Abbiamo dato una sbirciatina al trailer che alleghiamo e che mostra una divaricazione di colori. Dal grigio del cerimoniale del potere, alle sfumature tetre della detenzione, alle vivissime tonalità del Burundi, dove si vede sempre il protagonista (ancora lui) che ammaestra un ragazzo, con lo slogan che è stato il simbolo di un potere: “Vasa vasa”. Ma nel distaccarsi di quel potere da quel potente perfino il vasavasa diventa un manifesto dell’ironia.
“Non sono più quello”
Del resto, lo stesso Cuffaro aveva raccontato a LiveSicilia.it: “Sono stato il protagonista di una politica, il cuffarismo, che oggi ricuso totalmente. L’idea della distribuzione scientifica delle prebende la rifuggo, non mi appartiene più. Come la pratica del sistema clientelare che ho tenuto in piedi”. Ma perché il documentario? Sarà la riflessione critica su un percorso, messa a disposizione di tutti, o una mera autocelebrazione? Andremo a vedere. E vedremo se è proprio vero che moriremo cuffariani. (rp)