'Carrozzoni,' accuse e politici: l'Ast e l'ultima fermata

‘Carrozzoni,’ accuse e politici: l’Ast e l’ultima fermata

I filoni e i retroscena dell'inchiesta che fa tremare molti.
L'INCHIESTA E LE CONSEGUENZE
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In questa ultima storia siciliana dell’Ast, di carrozzoni, accuse e politici, chiamati in causa e dichiaratisi prontissimi alla querela, ci sono, come in moltissime storie siciliane, una certezza e un contesto, un oggetto e un riflesso, una materia e un’inchiesta. La certezza, a norma di codice e civiltà, è bene squadernarla subito: protagonisti e comprimari sono innocenti, fino a prova contraria e tutti sono moralmente illibatissimi, in mancanza di elementi sicuramente opponibili. Ma poi c’è un filone narrativo da seguire, passo dopo passo, con l’impressione di essere davanti a qualcosa di familiare, un teatro già visto. Perché, se mettiamo insieme la politica, i posti di lavoro, la ricerca del consenso e gli incarichi distribuiti secondo appartenenza, ogni siciliano si sentirà davanti a un panorama non ignoto. Specialmente al cospetto di una vicenda ricostruita dalle carte giudiziarie, in attesa di un pronunciamento.

Le accuse e i protagonisti

Questa storia siciliana ha inizio in mattinata, quando entrano in azione i finanzieri del Comando Palermo. Nel mirino ci sono pezzi grossi dell’Ast, l’Azienda siciliana trasporti, necessaria, sui percorsi gommati, per permettere ai siciliani di partire e arrivare a destinazione, praticamente ovunque. Si parla di appalti truccati, favori e assunzioni elargite su pressioni della politica. Il direttore generale, Andrea Ugo Fiduccia, è finito agli arresti domiciliari, per l’ex presidente, Gaetano Tafuri, è scattata l’interdizione per dodici mesi. Gli indagati sono in tutto sedici. La contestazione dei pm riguarda ipotesi di corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio, turbata libertà degli incanti, turbata libertà del procedimento di scelta del contraente, falsità ideologica in atto pubblico, frode nelle pubbliche forniture e truffa aggravata ai danni dello Stato. Un’inchiesta certosina che si avvale di intercettazioni, telecamere e microspie.

Le intercettazioni

Il succo più rilevante sta proprio nelle intercettazioni e nella presunta contiguità con la politica. Nelle pieghe dell’inchiesta, infatti, spuntano i nomi del governatore Nello Musumeci e del presidente dell’Ars Gianfranco Miccichè. Nessuno dei due è indagato, ma parliamo di due personaggi pubblici al massimo livello, di recente venuti ancora di più alla ribalta per polemiche politiche incrociate. Oltretutto, siamo alla vigilia di una tornata elettorale fondamentale che riguarderà sia il Comune di Palermo sia la Regione. E’ chiaro che quei nomi non possono passare inosservati. Li convoca sulla scena il direttore Fiduccia, chiacchierando di assunzioni e non sapendo di essere ascoltato. Di mezzo c’è un’agenzia per l’occupazione interinale che cura dei contratti a tempo determinato, proprio all’Ast. Fiduccia, che in quei dialoghi parla quasi sempre in siciliano, sembra prodigo di dettagli che riguarderebbero persone segnalate e da sistemare: “Chistu è l’ultimo pizzino… di questo non c’ho il curriculum picchi mu rettiru in assessorato… U ioco forte, gioco forte, u fa la politica, io ne infilo qualcuno, no ca io infilo a tutti… Il contatto sono Miccichè o u presidente da Regione iddi sunnu”. Una millanteria, magari per farsi forza con gli interlocutori o qualcosa di diverso? Non si tratta dell’unico passaggio. “Io sono il direttore, ogni tanto qualcuno lo posso infilare”, è quasi la giustificazione in un’altra comunicazione. E chi sarebbero i politici a cui dare conto e ragione? A domanda Fiduccia risponde ancora: “O Miccichè o il presidente della Regione chisti so i chiù”. In una pièce teatrale sul potere e sul suo uso spregiudicato parrebbe la classica sceneggiata del vaso di coccio che si arrabbatta tra i vasi di ferro. Ma questa è, appunto, un’indagine. Per cui si vedrà e ci vorranno riscontri a più strati.

L’indignazione di Musumeci e Miccichè

Seguono le repliche indignate. “Com’è noto a tutti in Sicilia, il governo della Regione ha formalmente mosso in questi anni tutti i rilievi possibili al direttore dell’Ast, che ho incontrato una sola volta, in riunione al Palazzo Orleans – credo nel 2020 – e al quale ho manifestato pubblicamente tutta la mia disistima, chiedendo al presidente dell’Ast di rimuoverlo. Alla luce delle intercettazioni oggi diffuse, ho dato mandato ai miei legali di presentare una denuncia”, questo è Musumeci. Si associa Miccichè: “Chiedo al signor Fiduccia di indicare alla Procura i nominativi delle persone assunte su mia pressione, altrimenti lo denuncio per diffamazione. Non credo di avere il suo numero di telefono, né mi ricordo come sia fatto fisicamente. Quello di tirare fuori il mio nome sta diventando uno sport insopportabile”.

Il carrozzone e la politica

Siamo dunque alle prese con una materia incandescente, che verrà valutata nelle sedi opportune. Ma, in quel filone di narrazione parallelo, non sarebbe strano, a prescindere da chi è coinvolto e da quale sia la sua posizione concreta, a livello penale o generale, scorgere la politica a bordo del ‘carrozzone’, nel posto accanto al manovratore, per suggerire, consigliare e organizzare porzioni di consenso. E dalla politica di segno contrario arrivano le bordate più significative, con vista proprio sulle elezioni. Scrive il presidente della Commissione Antimafia regionale, Claudio Fava, sulla sua pagina Facebook: “Che diranno adesso gli esegeti del ‘campo largo’ e dell’apertura a Forza Italia, gli apprendisti stregoni che a Roma e in Sicilia giocano al ‘modello Draghi’? Cosa s’inventeranno leggendo le miserie giudiziarie dell’inchiesta sull’Azienda Siciliana dei Trasporti? Che penseranno delle conversazioni tra presidente e direttore generale, intercettati mentre commentano l’infornata di assunzioni clientelari pretese dai loro padrini politici? Dei ‘pizzini’ arrivati freschi freschi dall’assessorato con i nomi dei raccomandati? Dei nuovi assunti che “non sanno fare nemmeno una ‘o’ col bicchiere’? Che ci diranno di fronte a un’azienda pubblica diventata (testuale) ‘l’ufficio di collocamento di Forza Italia’? Di buste targate ARS recapitate con dentro cinquanta (cinquanta!) nomi di amici e parenti da assumere? Prima d’essere governata, questa terra va dissodata, bonificata, restituita a pratiche di verità e di decenza”.

‘Un collaudato modus operandi’

Il generale Antonio Quintavalle Cecere, comandante della Guardia di finanza di Palermo, ha descritto l’accaduto con una definizione secca: “Un collaudato modus operandi illecito, posto in essere dai vertici della società gestita come se fosse un’azienda privata, in dispregio delle norme di legge che devono orientare le procedure di un organismo pubblico”. Anche questo sarebbe un déjà vu.
E se questa fosse una rappresentazione teatrale e non cronaca da narrare nei suoi sviluppi successivi, i siciliani convocati tra il pubblico non si stupirebbero di nulla, anzi, troverebbero la trama perfino scontata. Carrozzoni, politici, accuse e intercettazioni, quale sarebbe la novità? Tutti d’accordo per dividersi i posti disponibili. Ma alla fine sale a bordo un giudice-controllore e dice che siamo già all’ultima fermata. Sipario.


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