Gli esclusi della Tabella H | Senza soldi, lavoratori nei guai - Live Sicilia

Gli esclusi della Tabella H | Senza soldi, lavoratori nei guai

Qualcuno ce l'ha fatta, altri no. Altri dovranno chiudere i battenti. Ecco chi sono.

PALERMO– Alla fine sono stati esclusi. Soltanto due, degli enti “storici” della ex Tabella H, tra quelli che si erano aggiudicati un posto nella manovra-ter approvata pochi giorni fa. Ogni anno, fino a un paio di anni fa, un posto in quell’elenco che – come ha detto il presidente Crocetta – racchiudeva “tutto lo scibile umano”, se lo erano aggiudicati. Spesso, come raccontano i dipendenti, rimanendo con il fiato sospeso fino all’ultimo minuto della solita finanziaria approvata all’alba di un giorno di dicembre, o di maggio. Quello a cui è andata peggio, probabilmente, è il Coppem. Ente istituito dalla stessa Regione siciliana nel 2000, è un organismo di mediazione, cooperazione e partenariato delle regioni euro mediterranee. Tra mille difficoltà (era stato escluso, quasi sempre nel passaggio in aula, da tutte le finanziarie degli ultimi due anni), stavolta al voto di Sala d’Ercole c’era arrivato eccome. E le speranze che riuscisse ad ottenere quei 300.000 euro, su un importo complessivo di mezzo miliardo di manovra, erano anche alte.

Stavolta, infatti, anche il presidente della Regione ci aveva messo la faccia e lo aveva difeso perché arrivasse in aula insieme con la fondazione Whitaker e il Cerisdi. Gli ultimi due enti ce l’hanno fatta. Il Coppem no. “Tutta colpa delle ripicche dei politici”, ha detto il presidente Crocetta, ma il punto è che in realtà – per il Coppem come per altri enti – c’è una legge che dice che la Regione deve trasferire annualmente delle somme all’organismo. Niente da fare, una legge non basta. E allora i tredici dipendenti, in cassa integrazione a zero ore da luglio dell’anno scorso, si preparano a fare i bagagli e andare a casa. In ballo, però, c’è anche un progetto da un milione finanziato dall’Unione europea e già partito. Ma l’ente, in cassa, non ha un solo euro. E il progetto, se non ci sono neanche i soldi per pagare la sede o le bollette telefoniche, non può certo andare avanti. Dall’ufficio stampa fanno sapere che sarebbero bastati quei 300.000 euro a salvare baracca e burattini. Soldi che, in effetti, la Regione deve. E questo lo ha spiegato anche il governatore. Ma tant’è.

Nella situazione del Coppem sono in tanti. Per esempio l’autodromo di Pergusa: “Uno dei circuiti automobilistici più importanti d’Italia – dice il presidente Tullio Lauria – e di certo il più importante del Sud”. Come spiega Lauria, da anni il parco non funziona a causa di lavori necessari alla messa in sicurezza del circuito. “Per noi è stato un investimento – continua il presidente – e ci è costato moltissimo. Per questo, adesso, contavamo sulla Regione per poter farlo finalmente ripartire, per progettare”. Ma l’autodromo, inserito nella manovra-ter grazie ad un gruppo nutrito di deputati che in commissione Bilancio si è battuto per trovargli un finanziamento (erano stati previsti 250.000 euro), per molti è soltanto una fonte di spreco. Uno dei tanti frutti dell’albero del clientelismo. E allora all’autodromo non va dato un euro. Perché se non c’è la Società interporti siciliana non può esserci nient’altro. Un effetto domino quello delle “ripicche”, che potrebbe costare il posto a quattro dipendenti, più i quattordici che vengono retribuiti con contratti di lavoro regionale ma annuali, e ai quali l’ente versava mensilmente un contributo.

C’è da dire, però, che l’autodromo rientra in quel gruppo di enti e associazioni che, proprio per evitare che fossero attaccati al respiratore della ex Tabella H ogni anno, il presidente Crocetta ha deciso di fare partecipare ad un bando (ogni ente è stato “assegnato” ad un diverso assessorato) con il quale un’apposita commissione ha valutato le credenziali dei richiedenti contributo e stanziato le somme in base al punteggio ottenuto. L’autodromo, quel bando, lo ha vinto. “Ma dall’assessorato al Turismo non abbiamo ancora ricevuto un euro – dice Lauria – e senza soldi per pagare gli stipendi o investire in nuove attività non potremmo andare avanti a lungo”. Poi, ancora, c’è il caso dell’Istituto Gramsci. E in questo caso, anche se la norma che gli avrebbe garantito il contributo non è nemmeno arrivata in aula, a sua difesa si sono schierati in tanti. Anche alcuni “insospettabili”. Anche il Gramsci, in realtà, rientra tra quegli enti culturali che hanno partecipato e vinto il bando dell’assessorato ai Beni culturali. Grazie a quello, l’istituto ha ricevuto 96.000 euro che sono bastati a coprire le spese del 2013. Ma, già dallo scorso dicembre, i tre dipendenti che – da soli – assicurano la fruizione della biblioteca da 35.000 volumi e di quello che qualcuno ha definito “uno dei più importanti archivi privati del Mezzogiorno”, sono senza stipendio. Basterebbero poco più di 150.000 euro per garantire l’apertura dell’Istituto: pagare le bollette, l’assicurazione dell’edificio che il Comune di Palermo gli ha dato in concessione (gratis), il materiale di consumo, i computer, gli abbonamenti a giornali e riviste e, ovviamente, gli stipendi.

“Nessuno, a parte i tre dipendenti che assicurano l’apertura e la fruizione del centro – dice il presidente Salvatore Nicosia – percepisce uno stipendio o un indennità: tutti noi del cda, anche i membri del comitato scientifico, abbiamo sempre offerto gratuitamente il nostro supporto. Ma così non possiamo andare avanti. Cosa sarebbe d’aiuto? Una legge sui beni culturali. Non vogliamo essere soggetti a spartizioni, non abbiamo orientamenti politici da far valere”. E, in effetti, a difesa dell’Istituto che conserva l’archivio del Partito comunista siciliano, si è schierato anche l’ex candidato alla presidenza della Regione, ora leader dell’Opposizione, Nello Musumeci, de “La destra” siciliana. “Il Gramsci – ha detto Musumeci – opera, da quarant’anni, in un’area culturale lontanissima dalla mia, ma nessuno può metterne in discussione il valore e la funzione svolta, anche per il pregio dei suoi archivi privati, per la ricchezza della sua biblioteca, per la qualità della collana di studi pubblicata. E’ un patrimonio che appartiene a tutti, studiosi e cultori, al di là del credo politico e delle appartenenze partitiche di ciascuno. E per questo la Regione ha il dovere di salvaguardarlo dal pericolo di chiusura”. Ma l’emendamento alla Finanziaria che prevedeva il contributo per l’ente non è neppure arrivato in aula. E così il l’istituto Gramsci si aggiunge alla lunga lista di quegli enti che, salvo sorprese, avranno ancora vita breve.


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