Ciancimino, mistero buffo - Live Sicilia

Ciancimino, mistero buffo

Le ultime scoperte
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Le ultime vicende dell’affare Ciancimino ricordano una novella – ci pare – di Allan Poe. Se vuoi davvero nascondere una cosa – è la morale – mettila sotto gli occhi di tutti, non la cercheranno. La trama, da potenziale dramma, si sta trasformando in un mistero buffo. L’Ansa: “Tutto l’archivio di Vito Ciancimino, l’ex sindaco di Palermo condannato per mafia, dal quale il figlio Massimo di tanto in tanto prelevava qualche documento, è ora in mano alla Dia. Misteri, segreti, mezze verità forse anche qualche bugia e perfino innocui bigliettini di cortesia erano raccolti in cinque scatoloni che lo stesso Massimo Ciancimino ha deciso di far ritrovare. E’ stato proprio lui a indicare, durante un nuovo interrogatorio in carcere secretato, il posto in cui l’archivio segreto e inesauribile del padre era custodito: uno sgabuzzino di casa sua, tra il piano terra e il primo piano dell’ edificio di via Torrearsa. Il posto in cui nessuno, tra magistrati e investigatori, era finora mai entrato per un approfondito sopralluogo”. Nella coda la questione fondamentale, irta di domande. Da quanto l’archivo era custodito lì, quasi sotto gli occhi di tutti? Gli sgabuzzini sono luoghi ideali per le perquisizioni. Eppure… Le carte sono lì dall’inizio? O ce le ha portate qualcuno? E se è accaduto, come mai? Coloro che avrebbero dovuto sorvegliare non sono stati troppo pronti? Fiducia incondizionata? Qualcuno ha pensato che Massimo Ciancimino fosse uno specchiato galantuomo che mai avrebbe nascosto alcunché nella penombra di casa? E non è buffo che sia stato proprio lui “a decidere”, bontà sua,  il disvelamento?

I recenti sviluppi stanno riaprendo la crepa che l’incontro di Roma aveva sigillato – secondo dichiarazioni abbastanza plateali per essere sincere – con la pax tra le Procure. Più di un magistrato comincia a coltivare dubbi sull’operato degli investigatori che hanno gestito Ciancimino jr. Naturalmente, si tratta di sussurri. Di voci riferite da altri o concesse al cronista a taccuini spenti. E’ un costume della nostra magistratura, che finisce per avvelenare i suoi palazzi. Non ci sono onesti e aspri confronti alla luce del sole. Si lavora di coltello alle spalle. La maldicenza è l’anticamera della lotta tra gli uffici.

I pm che hanno scommesso tanto sulla credibilità del figlio di don Vito non hanno esitato a fermarlo, quando si sono accorti di un particolare che stonava. Si sono difesi, constatando la presenza di riscontri ad altre dichiarazioni. Ed è bene usare prudenza, evitando di scadere nella derisione beffarda, adesso, dopo la cieca fede di taluni, sentimento che mai abbiamo provato nei confronti di Ciancimino. Tuttavia, ci sono punti oscuri che vanno rapidamente chiariti. E non si fa un buon servizio al buonsenso se si dice che una bugia in fondo è niente rispetto ad altre presunte verità accertate. Una menzogna solleva sempre il sospetto circa la presenza di un mentitore, di “un pataccaro”, come si scrive. E’ un’idea da coltivare con cura, per evitare che questo mistero buffo di bombe, archivi e complotti, diventi la notte della magistratura. E della democrazia.


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