Ciancio, è il turno della difesa: |"E' tutto un processo alle intenzioni" - Live Sicilia

Ciancio, è il turno della difesa: |”E’ tutto un processo alle intenzioni”

Per l'avvocato Carmelo Peluso non sussiste la prova per configurare il reato di concorso esterno.

L'udienza preliminare
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CATANIA – Oggi è stato il turno della difesa del direttore ed editore de La Sicilia Mario Ciancio Sanfilippo, imputato di concorso esterno all’associazione mafiosa. A discutere per quattro ore è stato l’avvocato Carmelo Peluso, che ha esaminato punto per punto il filone investigative che riguarda la realizzazione dei centri commerciali e quindi il cosiddetto “teorema” che si evince nella sentenza di condanna dell’ex governatore siciliano Raffaele Lombardo. “Abbiamo fatto presente – afferma l’avvocato Peluso a LiveSiciliaCatania –  che il teorema della sentenza Lombardo è fondato su circostanze non esatte. Non è vero – spiega il difensore – che i terreni sono stati acquistati da Ciancio in prossimità delle operazioni commerciali. E questo lo abbiamo dimostrato con delle planimetrie in cui si evincono nel dettaglio tutti gli acquisti. I terreni erano in possesso della famiglia Ciancio in molti casi dagli anni ’50 e in altri casi dal ’66, ’77 e ’70. Abbiamo dunque smentito l’ipotesi che Ciancio avesse costruito tutto per concludere queste operazioni commerciali”.

Il difensore poi ha affrontato la questione dei presunti soci in odor di mafia. “Ciancio non ha mai avuto soci mafiosi – chiarisce Peluso –  e quelli che vengono ipotizzati come soci mafiosi certamente non sono stati partecipi ad attività commerciali insieme a Ciancio. L’interesse di Ciancio è stato esclusivamente quello di vendere i terreni di sua proprietà e di realizzare il miglior risultato economico, non certamente quindi quello di favorire interessi mafiosi. E questo ‘interesse’ lo abbiamo dimostrato documenti alla mano analizzando tutti i passaggi e tutte le notizie che abbiamo attinto dalle comunicazioni fatte dal Ros dei Carabinieri e dalla Procura della Repubblica”.

Le carte del Ros diventano “strumento difensivo”. Anzi per Peluso sono state un “pilastro della difesa”. “E’ proprio in questi atti – aggiunge l’avvocato – che si trova la smentita al teorema della sentenza Lombardo e cioè che i terreni sono stati acquistati in prossimità delle operazioni commerciali. Basta leggere le carte del Ros per rendersene conto, noi infatti abbiamo detto – spiega Peluso – che l’accusa non legge. Se la Procura della Repubblica avesse letto le carte che ha prodotto il Ros dei Carabinieri non avrebbe sostenuto l’accusa in giudizio”.

Peluso poi si è addentrato nell’aspetto meramente giuridico e tecnico del reato contestato a Mario Ciancio. “La cosa più importante- afferma –  è che lo schema del reato di concorso esterno all’associazione mafiosa non prevede la possibilità di punire il tentativo, quindi tutto quello che non è realizzato non può essere oggetto di valutazione del reato. E’ un aspetto squisitamente giuridico – insiste Peluso –  che come lo colgo io lo può cogliere il giudice, il pm e chiunque ha una laurea in giurisprudenza. La sentenza Mannino è precisa e ha detto che per il concorso esterno occorre la prova dell’aver apportato concretamente ed efficacemente un ausilio a Cosa nostra”.

Per Peluso quindi i progetti commerciali che non sono stati realizzati non possono entrare nella valutazione del reato, e tra questi c’è il contestatissimo Pua. Le uniche due operazioni commerciali che si sono concretizzate sono il centro commerciale Porte di Catania e l’Outlet Village. “Il Piano Urbanistico Attuativo (progetto Stella Polare, ndr), dunque, è un’operazione mai realizzata”, specifica l’avvocato. “E’ tutto un processo alle intenzioni perché ci sono operazioni mai realizzate – aggiunge –  ma il processo alle intenzioni nelle contestazioni del reato di concorso esterno in associazione mafiosa è un falso giuridico”. Togliendo quindi i progetti mai realizzati per tutto il resto – secondo Peluso  “mancano i presupposti del reato e ne sono prova le carte del Ros e i documenti già depositati nel procedimento cinque anni fa. Ecco perché ci siamo lamentati – ribadisce il difensore dell’editore –  che è mancata la voglia di leggere le carte”.

Un ulteriore aspetto affrontato oggi è stato quello della mancata pubblicazione del necrologio per il terzo trigesimo dell’omicidio di Beppe Montana, i cui fratelli si sono costituiti parte civile nel processo. “Il caso necrologio è fin troppo chiaro – afferma Peluso –  C’è la prova che il giornale ha pubblicato tutte le notizie concernenti l’omicidio di Beppe Montana e aveva pubblicato anche una dichiarazione della fidanzata del poliziotto che diceva che la colpa era dei politici. Il giornale quindi non si è tirato indietro davanti a un fatto di questo genere. Il quotidiano non aveva pubblicato il necrologio contenente riferimenti diversi al cordoglio per la morte – spiega il difensore –  soltanto in quanto la linea editoriale e la prassi già seguita per tutti non lo consentiva. Abbiamo consegnato dei documenti in cui c’era la spiegazione dell’editore e la spiegazione del comitato di redazione, il quale diceva che purtroppo il fatto era accaduto per una prassi consolidata e si dispiacevano che in questo caso non fosse stata fatta un’eccezione. C’è un’incompatibilità palese: se te l’ho pubblicato nel testo del giornale perché avrei dovuto negartelo nel necrologio? – si domanda Peluso che spiega – Te lo nego nel necrologio perché per tutti vale la regola che nel necrologio deve esserci soltanto il cordoglio per il defunto. Il Gup Bernabò Distefano, che già la prima volta aveva prosciolto Ciancio, aveva ampiamente dichiarato che non vi erano elementi che consentivano di affermare che il necrologio era stato negato per amor di mafia”, spiega l’avvocato.

Il Gup Loredana Pezzino ha rinviato l’udienza preliminare al 27 aprile per il proseguimento dell’arringa difensiva che sarà incentrata sui collaboranti di giustizia che hanno parlato di Ciancio. Peluso ribadisce l’aspetto giuridico afferente alla configurazione del reato. “Il concorso esterno si forma di due parti – spiega –  nella prima l’accusa dice che Ciancio è vicino alla mafia, nella seconda  l’accusa dice che Ciancio ha dato qualcosa alla mafia, se manca la seconda parte la prima da sola non serve a niente”. I collaboratori di giustizia parlando dell’editore come di un “amico cortese” della famiglia. “Questa cortesia con la famiglia può essere un disdicevole reciproco rispetto – commenta Peluso – ma da qui ad essere reato serve qualcosa di più. Serve che la cortesia sia stata accompagnata da un regalo, se questo regalo non c’è e questo contributo al rafforzamento di Cosa nostra non c’è, il reato non si può configurare”. “Ciancio non può andare a giudizio”, chiosa l’avvocato Peluso.

 


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