Catania, su via Dilg il Comune perde un'altra partita - Live Sicilia

Catania, su via Dilg il Comune perde un’altra partita

Nel permesso di costruzione, il municipio aveva inserito pagine di prescrizioni. Che per i giudici amministrativi sono illegittime.
LA SENTENZA DEL TAR
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CATANIA – A vent’anni dall’inizio della storia, la battaglia legale continua. E di nuovo con una sconfitta per il Comune di Catania. Il lungo romanzo che riguarda la costruzione di una palazzina in via Dilg, sull’antica sorgente del quartiere di Cibali, si arrichisce di un nuovo capitolo. Stavolta scritto dal Tar di Catania, che somiglia a una tirata d’orecchie per gli uffici di Palazzo degli elefanti che hanno redatto, a novembre 2022, un permesso di costruire che va annullato. Almeno nella parte in cui aggiunge, all’improvviso, nuove condizioni per un’edificazione controversa.

Via Dilg e le vie dell’acqua di Cibali

Il lavatoio di Cibali, tra piazza Bonadies e via Valdisavoia, è la traccia visibile più rilevante delle origini del quartiere: costruito tra sorgenti profonde e corsi d’acqua, con una vita sotterranea vivacissima fatta di gallerie e torrenti. Lo racconta la toponomastica: da via della Sorgiva a via Torrente, passando per via dello Stagno e via Canale.

È tutta quest’acqua ad avere causato non pochi problemi alle gallerie della metropolitana del quartiere: l’apertura della stazione è stata rinviata anno dopo anno per la difficoltà di evitare le infiltrazioni. In pratica, dentro alla galleria pioveva. Anche quando fuori c’era il sole. Per questo costruire in quella zona è un affare delicato: perché scavi e lavori sono sempre un’incognita, quando il sottosuolo ha una geologia antica e complessa come quella di via Dilg e vicine.

Il vincolo della Soprintendenza

Nel 2005 la Soprintendenza per i Beni culturali decide che quell’area, infatti, è da vincolare per motivi storici e antropologici, legati “all’antico condotto sotterraneo con annesse camere di captazione e pozzo facente parte dell’antico acquedotto di Cibali”. Sorgenti e fiumi sotterranei, insomma, dovuti allo scioglimento delle nevi sull’Etna, che transitano in questa zona della città e l’attraversano per arrivare fino al centro storico”.

Per questo il progetto di costruzione si ferma, almeno dal punto di vista burocratico, e ricompare nel 2015 con una proposta di variante presentata dall’impresa che vuole costruire la palazzina. L’obiettivo è rispondere al vincolo della Soprintendenza con un edificio che ne rispetti le prescrizioni. Gli uffici di regionali prima si lasciano convincere e definiscono il progetto “compatibile” con il vincolo, per via dell’esistenza di una “fascia di rispetto” di sei metri di distanza dal canale dell’acquedotto, ma poi annullano il proprio stesso parere e così, nel 2018, il Comune fa lo stesso rispetto al permesso di costruire precedentemente rilasciato.

La palazzina non s’ha da fare, non in quel terreno. La questione, naturalmente, finisce di fronte al Tribunale amministrativo regionale di Catania. È al Tar che si rivolge la società Afedil, raccontando che “l’antico condotto, con il tempo è stato sicuramente danneggiato e per la maggior parte distrutto” non solo da altri cantieri, ma soprattutto da quello della Circumetnea. E spiegando altresì che la Soprintendenza non avrebbe fatto alcuna verifica, oltre a quella documentale, per verificare le distanze dal condotto in cui transita l’acqua e l’eventuale dissesto idrogeologico della zona.

La prima vittoria al Tar

Per il Tar ha ragione la società: i giudici amministrativi sostengono l’esistenza di una evidente “lacuna istruttoria” nel provvedimenti con i quali la Soprintendenza annulla il proprio parere di compatibilità. Dice il tribunale, insomma, che gli uffici della Regione non hanno fatto tutte le verifiche che avrebbero dovuto fare per sostenere che il progetto di costruzione non fosse compatibile con il vincolo etnoantropologico sull’acquedotto di Cibali. E che, quindi, quel parere non avrebbe dovuto essere rilasciato.

Sulla base di questa sentenza, alla fine di novembre 2022 il Comune di Catania rilascia il permesso di costruire. L’elenco delle prescrizioni imposte ai costruttori, però, è lungo diverse pagine. E prevede anche che “l’attuale imboccatura del pozzo venga protetta e valorizzata con apposita recinzione, al fine di renderla accessibile e fruibile da chi ne faccia espressa richiesta”, oltre che l’”obbligo per la ditta proprietaria di tutela del bene vincolato e responsabilità diretta per eventuali danni al manufatto sottoposto a tutela”.

La seconda vittoria al Tar

Per la Afedil costruzioni queste prescrizioni sono “assolutamente illegittime e pretestuose” e determinano “l’impossibilità oggettiva di edificazione nel lotto”. E per questo fa ricorso al Tar di Catania. Di nuovo. L’azione del Comune di Catania, secondo Afedil, sarebbe stata contraddittoria e “a puntate”.

Un’opinione condivisa dai giudici amministrativi etnei, per i quali il Comune avrebbe violato le “garanzie procedimentali”. Sarebbe, cioè, tornato indietro sulle sue decisioni “sollevando questioni in precedenza trascurate”. Un comportamento meritevole di censura, per il Tribunale amministrativo etneo, che obbliga Palazzo degli elefanti a concedere un permesso di costruire emendato di tutte le prescrizioni a tutela della sorgente.

Il Tar, però, rigetta la richiesta di risarcimento danni avanzata dalla Afedil costruzioni e si limita a condannare il municipio al pagamento delle spese legali (quantificate in duemila euro). Passato il timore di una sanzione economicamente pesante, il Comune decide di non opporsi alla decisione del Tar. Nuovo permesso di costruire e nuovo punto di partenza per una storia che, da vent’anni, scorre tra le scrivanie degli uffici municipali come le sorgenti d’acqua sotto a via Dilg, a Cibali.


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