PALERMO – La zona del centro che si sviluppa intorno ai Quattro canti ha visto crescere negli ultimi quindici anni la presenza massiccia di negozi gestiti da stranieri. Ci sono i venditori di bigiotteria e di vestiti e oggetti orientali, concentrati soprattutto in via Maqueda e nel tratto di via Vittorio Emanuele a ridosso di via Roma. E ci sono i minimarket, piccoli negozi che vendono generi alimentari e alcolici rimanendo, molto spesso, aperti fino a tarda notte, e che sono entrati di forza nel fenomeno della movida cittadina. Causando, a volte, le lamentele degli abitanti del centro per gli schiamazzi la presenza di capannelli di brilli fino alle prime ore del mattino.
A Roma hanno dato persino un nome a questi negozi: li chiamano “bangladini”, perché spesso sono gestiti da bengalesi. Se nella capitale infatti si concentra, secondo un rapporto del ministero del Lavoro, il 41 per cento delle 28.800 imprese aperte da cittadini provenienti dal Bangladesh, Palermo è la seconda città capoluogo d’Italia per numero di imprese appartenenti a bengalesi, con il 9,6 per cento del totale. Si tratta di 2.764 attività, che per un terzo sono proprio nel settore del commercio. La grande maggioranza di queste attività, l’ottanta per cento, si trova nel centro cittadino, al punto che ci sono zone in cui i minimarket si trovano uno accanto all’altro.
La concentrazione di minimarket stranieri è resa possibile dalla liberalizzazione delle licenze commerciali e dal meccanismo della Scia, Segnalazione certificata di inizio attività. Una volta, con il sistema delle licenze, era il Comune a decidere quando e se rilasciare un’autorizzazione ad aprire un’attività commerciale. Tra i fattori che entravano in gioco c’era il contingentamento, ovvero il tentativo di distribuire con equilibrio i tipi di attività commerciale che aprivano. Se, in altre parole, si chiedeva di aprire un negozio di abbigliamento accanto a un altro, si poteva veder respinta la propria domanda perché nella zona c’era già un negozio della stessa categoria merceologica. Oggi, invece, chi vuole aprire un negozio può limitarsi a inviare la Scia al Comune, che poi pensa a fare le verifiche. Con la Scia non esiste più il contingentamento, e può succedere, quindi, che si aprano due minimarket uno accanto all’altro.
Il Comune poi predispone i controlli sui locali già aperti. “Sono verifiche che facciamo a tappeto – dice Salvatore Romano, portavoce della Polizia municipale di Palermo – concentrandoci non solo sulla documentazione, ma anche sulla somministrazione di alcolici”. Mentre a Roma vengono a volte scoperte situazioni irregolari, con angoli dormitorio nel retro dei negozi o cibi in scarse condizioni, a Palermo invece la situazione è migliore: “Non abbiamo rilevato irregolarità di questo tipo – dice Romano – le uniche multe che abbiamo esteso sono proprio per mancanza di Scia, o per problemi nella vendita di alcool”.
Le proteste di chi abita nella zona della movida riguardano prevalentemente la presenza di ubriachi fino a tarda ora, che sarebbe incoraggiata dall’abitudine dei minimarket a restare aperti anche fino all’alba. “Mi sono arrivate diverse segnalazioni – dice Massimo Castiglia, presidente della prima circoscrizione – di vendita da parte dei minimarket di alcolici fuori orario, o addirittura di vendita ai minori”. Segnalazioni confermate anche dalla polizia municipale, che nel 2017 ha sanzionato quaranta negozi per mancata esposizione delle tabelle alcolemiche e ha segnalato tre locali per somministrazione di alcolici ai minori, di cui, in un caso, a ragazzi con meno di quindici anni.
Il problema della vendita di alcolici, però, è l’unico sollevato nei confronti dei minimarket: “In generale gli stranieri si sono integrati bene – dice ancora Castiglia – sulle questioni importanti, come ad esempio la denuncia ai racket, spesso sono stati gli stranieri a dare una mano agli italiani. Nel centro rimane un’idea di comunità, che a Palermo è molto forte”.