Famiglie fragili e solitudine social: così la gioventù diventa violenta - Live Sicilia

Famiglie fragili e solitudine social: così la gioventù diventa violenta

Anche in Sicilia la socialità imposta dal modello scolastico può servire per arginare il fenomeno di una adolescenza aggressiva

PALERMO – Palermo, 21 dicembre: un ragazzo viene assassinato in una discoteca in pieno centro. Appena tre giorni prima almeno sette colpi di pistola sono stati esplosi durante una rissa tra giovanissimi in una strada poco distante. Ancora, Balestrate, 14 gennaio: un altro giovane viene ucciso durante una lite, sempre all’ingresso di una discoteca.

Episodi, ormai, quasi quotidiani dai quali emerge lo spaccato di un’adolescenza sempre più aggressiva ed astiosa che afferma la violenza come prevalente, se non unica, modalità relazionale.

Si organizzano maxi risse su appuntamento dato attraverso i social; ci si lascia andare a reazioni esasperate, in risposta ad offese vere o presunte; si assiste a sfoghi di inaudita ed imprevedibile cattiveria nei confronti di obiettivi ritenuti più deboli o considerati “diversi”: la donna, lo straniero, il senzatetto, l’animale. È di appena due giorni fa la notizia dell’ambulante del Bangladesh picchiato a colpi di spranga da due giovanissimi nella centralissima Piazza Castelnuovo.

Adolescenza, età cruciale

Ma chi sono effettivamente gli autori di queste condotte? Quali sono le cause che le scatenano? Il rischio di incorrere in scontate e banali interpretazioni è alto. L’adolescenza come età cruciale, le difficoltà relazionali proprie di questa fase della vita, la non ancora definita consapevolezza di sé, una scuola che rimane ancora troppo lontana dalla realtà.

Tutto indubbiamente vero. Eppure, mai come in questo periodo si sta assistendo ad un simile inaridimento emotivo, a ricorrenti episodi di violenza da parte di giovani che scarsa, se non nessuna, considerazione mostrano per l’importanza della persona e della vita, in una sorta di nichilismo sprezzante di ogni valore.

Cosa è cambiato?

Sicuramente c’è tanta solitudine, conseguenza di quell’individualismo esasperato, sconosciuto alle generazioni precedenti e tipico delle società occidentali, che sempre più offusca il senso della comunità. 

Così come è saltata, è inutile negarlo, la solidità dei legami familiari e con essi il senso stesso dell’istituzione familiare da tempo sottoposta a concentriche spinte disgregative di vario genere, sociali, economiche e culturali. Famiglie nelle quali, spesso, i genitori perdono la capacità di controllo dei comportamenti dei figli.

Le tecnologie e la deriva educativa

Anche le moderne tecnologie fanno la loro parte: siamo sempre più connessi con il mondo per mezzo di Internet ma allo stesso tempo sempre più soli, privi del contatto umano. E poi ci sono i social che moltiplicano tutti i contenuti a prescindere dai messaggi che diffondono. Possono facilmente diventare “virali” video o messaggi che inneggiano alla violenza o al disprezzo per gli altri. Ricordiamo quei quattordicimila iscritti alla “chat della vergogna” in cui si è condiviso il video dello stupro della ragazza di Palermo. Anche la musica, da strumento di benessere, si è trasformata spesso in volano di contenuti che incitano alla violenza o a comportamenti illegali.

C’è una deriva educativa che coinvolge ogni fascia della popolazione. È evidente, però, che il malessere giovanile è maggiore in quelle aree urbane segnate da disagio economico, esclusione sociale, carenza di servizi e povertà educativa o in famiglie multiproblematiche ove spesso è ancora presente una cultura (meglio, subcultura) di prevaricazione maschilista.

La scuola come baluardo

Promuovere la crescita umana dei nostri giovani è una sfida che riguarda tutta la società, famiglia e scuola in primis. Quella tanto bistrattata scuola con i suoi insegnanti tanto contestati che invece può essere strumento per liberarci da questa dilagante violenza. La socialità imposta dal modello scolastico è essenziale per la crescita del cittadino; è qui che si impara che la vita è scandita da regole, che la propria libertà deve fare i conti con quella degli altri. Freud, nell’opera “Il disagio della civiltà” afferma come la civiltà richiede la rinuncia ad una parte delle nostre pulsioni. È proprio a scuola che avviene la transizione dal familiare al sociale e si impara il rispetto di quelle regole di civile convivenza che sono a base della democrazia.

I rimedi esistono, ma non se ne può parlare soltanto retoricamente: ciò comporta investimenti culturali e finanziari. È sulla scuola e sulle istituzioni formative che bisogna investire con la lungimiranza di volere davvero costruire una società diversa e migliore. Cominciando a progettare, sfruttando al meglio le possibilità del PNRR, nuove e più moderne realtà scolastiche e centri educativi (centri diurni, impianti sportivi, convitti) a partire dai cosiddetti quartieri a rischio offrendo opportunità di crescita e di socializzazione ai tanti giovani che si sentono esclusi o che spessobivaccano per strada in assenza di altri spazi.

Sicurezza e repressione, il ruolo dello Stato

È preciso compito dello Stato agire anche in funzione repressiva. La repressione serve, specialmente, nell’immediatezza della consumazione delle condotte illecite, per il suo effetto dissuasivo e dunque preventivo. Garantire la sicurezza di tutti è la precondizione della libertà di ciascuno.

È, quindi, doveroso punire chi sbaglia ma lo è altrettanto condurre il responsabile attraverso percorsi di reinserimento e rieducazione che, peraltro, il nostro sistema già conosce (uno su tutti, la messa in prova) ma che andrebbero implementati al fine di una reale consacrazione della finalità rieducativa della pena sancita nell’articolo 27 della nostra Costituzione.

Siamo chiamati tutti, ciascuno per le proprie competenze, ad arginare la deriva educativa in atto. Educare alla non violenza è una sfida che riguarda tutta la società. Ma soprattutto è necessario (ri)educare alla umanità. È da qui che bisogna ripartire.


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