PALERMO – Nuova “bacchettata” del Tar al governo Crocetta. Una bocciatura che rischia di far esplodere il mondo della Formazione. I giudici amministrativi hanno dato ragione a una quarantina tra enti e associazioni che avevano presentato un ricorso contro il decreto che disciplina gli accreditamenti nel mondo dei corsi professionali. In particolare, nei confronti del passaggio in cui si prevede la revoca dell’accreditamento in caso di presenza di contenziosi tra l’ente e la pubblica amministrazione. Un provvedimento che era apparso fin da subito contrario persino alle regole del buon senso. Ma i giudici amministrativi sono andati oltre. Bocciando, di fatto, l’intero provvedimento. Quello sulla base del quale sono stati distribuiti e sono stati tolti gli accreditamenti agli enti. E il motivo è quasi grottesco: quel provvedimento, firmato da Nelli Scilabra, doveva invece – stando allo Statuto – essere sottoscritto dal presidente della Regione. Uno scivolone clamoroso.
Già alla fine del 2013, il Tar aveva accolto la richiesta di sospensiva avanzata da queste associazioni. Con due distinti ricorsi: uno dell’Anfe Sicilia e di altre associazioni e uno di un nutrito gruppo di enti. Enti che, come detto, si erano opposti contro le norme contenute nel decreto assessoriale del 23 luglio 2013. Si tratta, del provvedimento che elenca i nuovi requisiti per l’accreditamento, strumento utile per poter partecipare alla distribuzione dei contributi pubblici per lo svolgimento dei corsi di Formazione.
In quell’atto, firmato come detto dall’allora assessore Nelli Scilabra, fra le altre cose, si inibiva l’accreditamento a quegli enti che avessero in corso “liti” e contenziosi con l’amministrazione regionale. Ma un primo e più grave vizio di quel decreto sta proprio nel “firmatario”. Quelle disposizioni, infatti, precisano i giudici “hanno la caratteristica della novità, introducendo condizioni, caratterizzate altresì dalla generalità ed astrattezza, ulteriori rispetto a quelle fino a quel momento esistenti l’accreditamento di enti di formazione e per il mantenimento dello medesimo status: in altri termini quelle di cui si discute si atteggiano quali vere e proprie norme di carattere secondario rispetto la disciplina primaria”. Veri e propri regolamenti, quindi, che, stando allo Statuto siciliano “devono essere deliberati dalla Giunta di Governo ed adottati nella forma del Decreto Presidenziale, mentre ai singoli assessori spetta esclusivamente il potere di proporre l’adozione di regolamenti nelle materie di rispettiva competenza. Nel caso di specie – si legge – il decreto oggetto di impugnazione non risulta adottato in conformità al quadro normativo appena richiamato. Conseguentemente lo stesso decreto risulta illegittimo”.
I ricorsi accolti sono due: uno è stato proposto da Asef e Anfop, associazioni che raccolgono diversi enti, assistite dal legale Carlo Comandé. “L’aspetto importante – sottolineano dallo studio Comandé – è che è stato annullato l’intero decreto per effetto di una contestazione preliminare fatta da noi: non doveva essere un decreto assessoriale, ma un decreto del presidente della Regione. Il provvedimento doveva dunque passare da un ok del Cga”. L’altro è stato proposto dall’Anfe, dallo Ial e da un’altra ventina di enti (tra questi l’Interefop, il Cufti, l’Anapia, l’Ecap di Agrigento) difesi dagli avvocati Sebastiano Papandrea e Fulvio Ingaglio.
Oltre a una causa di illegittimità legata al mancato rispetto delle norme sul soggetto che ha la potestà di emanare regolamenti, poi, ecco che i giudici entrano nel merito di quel passaggio relativo all’eventuale lite pendente (od anche sopravvenuta) che, spiegano i giudici amministrativi, “non è di per sé indice della inaffidabilità dell’impresa, potendosi la lite chiudere a favore della stessa (con riconoscimento delle relative ragioni). Inoltre, – si legge nella sentenza – è sintomatico della non necessaria finalizzazione alla selezione qualitativa dei partecipanti, il fatto che la clausola in esame individui come fatti ostativi non solo le liti attuali, ma altresì quelle passate”. Una norma non solo incomprensibile, spiegano i giudici, ma anche inutile. Non porterebbe, infatti, alcun vantaggio all’attività amministrativa: “Una simile previsione – si legge infatti – non ha alcuna proiezione sul terreno dell’efficacia dell’azione amministrativa, ma unicamente una evidente ed univoca finalità di penalizzazione, dal momento che l’esercizio del diritto di difesa (principale interesse antagonista a quello dell’amministrazione), di cui all’articolo 24 della Costituzione, sembra costituire un fatto ostativo rispetto alla stipula di contratti con l’amministrazione intimata, anche in relazione a vicende ormai definite ed a rapporti esauriti”. Agli enti, stando a quel passaggio indicato dal governatore, in quei giorni, quasi come un segno della “moralizzazione” in atto nel mondo della Formazione, non sarebbe stato garantito il diritto di difendersi dalla Regione, visto che la conseguenza sarebbe stata quella dell’immediata estromissione dai finanziamenti pubblici. Un ingiustizia. E due errori in uno. La Regione scivola ancora una volta e clamorosamente. Sul terreno insidioso della Formazione siciliana.