Le due verità sull'omicidio Fragalà| Regge il racconto di Siragusa - Live Sicilia

Le due verità sull’omicidio Fragalà| Regge il racconto di Siragusa

Per i pm non era attendibile a differenza del pentito Francesco Chiarello

PALERMO – La Corte di assise ha creduto alle dichiarazioni di Antonino Siragusa. Gli ha concesso le attenuanti per chi offre un contributo alla ricostruzione dei fatti. Alla fine la versione di Siragusa è emersa dalla palude di un processo segnato da pentimenti e versioni discordanti.

I fatti sono quelli terribili che portarono alla morte di Enzo Fragalà nel 2010. Se Siragusa merita uno sconto di pena (gli sono stati inflitti 14 anni) allora vuol dire che è stato ritenuto credibile, a differenza di quanto sostenesse la Procura della Repubblica. Sulla genuinità delle sue dichiarazioni nessun dubbio ha avuto il suo legale l’avvocato Odette D’Aquila. 

A dire il vero Siragusa ci ha messo del suo per mostrarsi inattendibile, visto che ha cambiato in corso il suo racconto. Ha sempre scagionato Francesco Castronovo e Paolo Cocco (che ora sono stati assolti per non avere commesso il fatto e subito scarcerati come chiesto dagli avvocati Rosanna Vella, Edi Gioè e Debora Speciale). E all’inizio aveva pure scagionato Francesco Arcuri, salvo poi tirarlo in ballo.

Le sue nuove dichiarazioni piombarono nel processo (leggi l’articolo), entrando in collisione con quelle del collaboratore di giustizia, Francesco Chiarello. Bisognerà attendere le motivazioni per capire cosa resterà delle parole di Chiarello, la cui attendibilità aveva traballato già in un altro processo per omicidio (leggi l’articolo).

Siragusa disse di non volere avere sulla coscienza il peso di un errore giudiziario: “Sto vedendo che ci sono tre ragazzi che non c’entrano niente in carcere… cioè consumato io e pure tre persone che non c’entrano niente”.

“Siamo stati io, Abbate e Ingrassia”, aveva aggiunto Siragusa. Inguaiava, dunque, Antonino Abbate e Salvatore Ingrassia, ma scagionava Arcuri, Castronovo e Cocco. Ammise che nei confronti di Arcuri avrebbe avuto motivo di risentimento visto che aveva una relazione con sua moglie. Per fare verificare la sua credibilità si disse pronto a raccontare decine di estorsioni (leggi l’articolo).

Poi corresse il tiro. Il giorno che ricevette l’incarico da Abbate (ha avuto 30 anni) di pestare il penalista a colpi di legno vide Arcuri (condannato a 24 anni) appartarsi con Abbate davanti a un’agenzia di scommesse nella zona del Borgo Vecchio. Arrivò l’ordine: “Si può fare”. Parole che confermerebbero il ruolo di mandante attribuito dalla Procura ad Arcuri. Siragusa disse che non aveva voluto “salvarlo”, ma soltanto che tutto ciò che sapeva gli era stato riferito.

Altro punto che non convinceva del primo interrogatorio riguardava il bastone: dopo il pestaggio, aveva riferito Siragusa, “sono arrivato al Borgo, già Abbate… era là con Ingrassia dice (Abbate, ndr) andiamo che dobbiamo andare a buttare questa cosa… ci mettiamo sopra la macchina e andiamo a prendere la benzina… in via Albanese… con una Quasquai Grigia… ce ne andiamo alle spalle di via La Farina…”.

E in via La Farina che Siragusa disse di avere bruciato la mazza: “… io ho dato fuoco ai contenitori e me ne sono andato”. Nell’ultimo verbale Siragusa avrebbe spostato di qualche giorno il momento della distruzione della mazza con cui fu barbaramente picchiato il penalista sotto il suo studio, in via Nicolò Turrisi.

Di sicuro Siragusa si attribuiva un doppio ruolo nella fase preparatorie. Fu lui a recuperare il bastone ma anche a chiamare lo studio Fragalà da una cabina telefonica per capire “l’orario in cui andava via l’avvocato”. Il giorno del pestaggio era rimasto in macchina, mentre Abbate colpiva l’avvocato. Chiarello invece lo accusava di avere preso parte al pestaggio mentre Abbate si era limitato a dare il via al pestaggio, riconoscendo il penalista: “Iddu è… e poi se ne va”. Della presenza di un solo uomo che picchiava la vittima hanno parlato i testimoni dell’aggressione, mentre Chiarello  piazzava più persone sulla scena del crimine.

E poi c’erano le divergenze su Cocco e Castronovo. Chiarello disse che la sera del pestaggio Castronovo andò a trovarlo a casa. Aveva ancora i vestiti  sporchi di sangue e confessò. Ad ascoltarlo c’erano il pentito e la moglie. Castronovo è stato l’unico a rispondere alle domande del giudice subito dopo l’arresto. Negò il suo coinvolgimento nell’omicidio. Chiarello si sarebbe vendicato perché Castronovo aveva una relazione sentimentale con la moglie. 

Anche la divergenza sulla presenza o meno di Cocco, genero di Ingrassia, era netta. Siragusa escludeva la sua partecipazione, in contrasto con una delle prove principali dell’inchiesta. Una prova che non arrivava dai racconti di pentiti e dichiaranti. Sono state le microspie a registrare Cocco mentre diceva alla moglie: “Per il fatto dell’omicidio può essere che poi mi vengono a cercare… che c’ero pure io esce”; “Giura?”; “Giuro”. Ma che cazzo stai dicendo…”; “Il compleanno non lo festeggeremo, ti giuro…”; “Le chiavi possono buttare. Mi hai sconvolta Paolo”. Anche su questo punto bisognerà aspettare le motivazioni per comprendere il ragionamento della Corte presieduta da Sergio Gulotta, giudice a latere Monica Sammartino.


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