"Il tabù cancro, Michela Murgia, gli insulti per il mio male"

“Il tabù cancro, Michela Murgia e gli insulti come ferite”

Il racconto della malattia e gli attacchi che non ti aspetti. Parla Giorgia Butera.

“Ho raccontato il mio cancro sui social, anni fa. Dopo l’abbraccio sono arrivati gli insulti e non me lo sarei mai aspettato. Poi ho capito tutto”.

Giorgia Butera, 46 anni, sociologa palermitana, figura notissima dell’impegno sociale, guarda il male con il pericolante sorriso di chi ce l’ha fatta, ma prova, come è naturale, la paura che non abbandona. Sono giorni in cui si parla molto del dolore e di come dirlo, sull’ondata immensa sollevata dall’intervista della scrittrice Michela Murgia.

Giorgia, hai letto l’intervista?
“Sì e sono rimasta come tutti colpita dalla sua profondità. C’è il racconto di un autentico sentimento del dolore e della speranza. C’è il coraggio di una persona che ha trasmesso un messaggio forte. Ma…”.

Ma?
“Sui capelli rasati, su quella performance pubblica, resto un po’ perplessa. Ci sono tante persone che soffrono e che non amano una, anche involontaria, spettacolarizzazione”.

Tu hai raccontato sui social la tua malattia, il tuo cancro.
“E mi sono resa subito conto di avere messo in piazza una parola proibita. Nessuno vuole sentire pronunciare ‘cancro’. Ci sono state cattiverie nei miei confronti, come c’è stata indifferenza. Qualcuno mi ha accusata di avere voluto nascondere, con la pietà, il mio lato brutto”.

Cosa era successo?
“Che avevo rotto un tabù e, per qualcuno, era un dato imperdonabile. Intendiamoci, la prima reazione è stata quella di un abbraccio collettivo. Poi si sono aperte delle crepe”.

Insisto: perché?
“Perché parlare del dolore estremo e della paura significa rompere un tabù fortissimo, appunto. Sono contento che con Michela Murgia non sia successo. Almeno per ora. La gente non vuole essere messa davanti alla sofferenza”.

Però, l’abbraccio c’è stato…
“Sì, ma, mentre ti conforta, qualcuno ti odia e ti invidia per la solidarietà e l’affetto che ricevi. Un meccanismo che i social amplificano”.

Sono ferite che restano.
“E’ vero, infatti di personale non scrivo quasi più nulla. Descrivo solo le attività che portiamo avanti con Mete Onlus per le donne fragili che nessuno difende”.

Quale resta la parte importante del messaggio?
“Che è necessaria la prevenzione, controllarsi e non dare niente per scontato, io mi sono salvata per questo”. (rp)


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