Giustizia, Fiandaca: "Può finire l'era della rozza demagogia" - Live Sicilia

Giustizia, Fiandaca: “Può finire l’era della rozza demagogia”

Intervista al giurista. "I referendum? Tentato di sostenerli ma la condotta di Salvini è ambigua".
L'INTERVISTA
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6 min di lettura

Giovanni Fiandaca, giurista da sempre in trincea in difesa del garantismo coerente con lo spirito costituzionale, intravede un momento di speranza per la giustizia italiana. Dopo anni difficili. Il docente di diritto penale confida nella riforma che verrà della ministra Cartabia ma mette in guardia dai garantisti dell’ultima ora a cui confessa di guardare con sospetto.

Professore, la sensazione è che sulla Giustizia alcune idee in questi anni minoritarie nel Paese comincino a prendere piede e a trovare spazio nell’opinione pubblica. È così e perché?

“Ritengo che sia così. Stanno finalmente anche a mio avviso emergendo i presupposti di contesto perché inizi una svolta in termini di riorientamento generale rispetto al modo di guardare alla giustizia penale e anche ai rapporti tra magistratura penale e politica. Certamente questo iniziale mutamento di prospettive si può considerare in non piccola parte effetto dell’approfondimento dell’entrata in crisi della magistratura sotto l’aspetto della sua credibilità anche agli occhi di gran parte dei cittadini. Contribuisce anche la presa d’atto del numero notevolissimo di indagini anche a carico di esponenti politici che si concludono in un nulla di fatto, come emblematicamente dimostra la recentissima vicenda del sindaco Uggetti”.

È una crisi da cui può venire fuori qualcosa di buono? A volte accade…

“Se non si commettono errori e se opinione pubblica e forze politiche nel loro insieme riescono a interagire promuovendo oltre che in primo luogo un processo di generale  revisione della cultura penale, riforme che si muovano nella direzione giusta, sarà possibile voltare veramente pagina. Devo aggiungere però un forte richiamo al ruolo della stampa, che non da ora come studioso considero gravemente complice del deterioramento e dell’imbarbarimento della cultura penale nel nostro Paese: com’è noto ci sono ampi settori della stampa, e non mi riferisco soltanto a quelli notoriamente manettari in senso stretto, che hanno contribuito direi nel ruolo di co-protagonisti ad alimentare il circo mediatico-giudiziario autonomamente o in frequente interazione con i settori più giustizialisti del mondo politico. Giustamente Claudio Cerasa sul Foglio di oggi (sabato, ndr) rileva come al sopravvenuto pentimento, non so quanto opportunistico, di Luigi Di Maio che ha proclamato di essersi convertito al garantismo, non risulta che abbia finora fatto seguito una diffusa manifestazione di scuse da parte di molti giornalisti che in questi ultimi decenni anche dalle colonne dei principali giornali hanno assecondato la indebita trasformazione di ogni indagato in un colpevole e la conversione del ruolo dei magistrati da tutori della legalità in custodi delle virtù morali”.

Questo è un terreno minato. Penso all’esposizione dei tre accusati della tragedia della funivia, per due dei quali le accuse non hanno resistito neanche qualche ora quando si è arrivati davanti al giudice terzo. Ma la macchina mediatica li aveva già travolti. D’altro canto, ci sono processi di cambiamento che richiedono dei tempi  che non possono essere immediati.

“Ormai questa tendenza anticipatamente criminalizzatrice diffusa nella stampa scritta e parlata è diventata simile a un consolidato riflesso condizionato, per cui è difficile che si faccia un’ampia retromarcia in tempi brevi.

Che fiducia ha nell’imminente riforma della ministra Cartabia?

“Conosco e ho molta fiducia nella ministra Cartabia e ho apprezzato la sua scelta di avere istituito una commissione ministeriale di studio composta da esperti molto competenti per prospettare un insieme di proposte di riforma della giustizia penale che possano costituire per la ministra stessa la base di emendamenti da presentare al Parlamento  in preparazione dell’approvazione della riforma in discussione”.

L’obiettivo è quello di arrivare a una giustizia penale che somigli di più all’idea costituzionale?

“Ho già letto attentamente le proposte contenute nella predetta commissione, presieduta dall’ex presidente della Consulta Giorgio Lattanzi. Si tratta di proposte di notevole livello tecnico e a mio giudizio ampiamente condivisibili nel merito che puntano a obiettivi importanti quali il potenziamento della dimensione  garantistica delle indagini preliminari, la riduzione dei tempi del processo nelle sue varie fasi, la delimitazione in senso garantista delle funzioni di accusa (prescrivendo ai pubblici ministeri di richiedere il rinvio a giudizio solo in presenza di elementi tali da determinare la condanna), l’estensione della sfera di applicabilità della causa di non punibilità per tenuità del fatto, la revisione del sistema sanzionatorio all’insegna di una riduzione del ricorso alla pena detentiva, di una modifica della disciplina della pena pecuniaria volta a potenziarne l’applicazione, di un ampliamento del ventaglio delle sanzioni extracarcerarie e di un maggiore spazio agli strumenti della giustizia riparativa. In poche parole, un insieme di proposte che segnano un potenziale passaggio dalla rozza demagogia punitiva degli ultimissimi anni a una prospettiva di recupero di una giustizia penale finalmente di nuovo orientata secondo i principi del costituzionalismo nazionale ed europeo” .

Ha letto i quesiti referendari presentati dai radicali e dalla Lega e radicali? E che cosa ne pensa?

“Le confesso che ho l’animo diviso. Da un lato, sento la forte tentazione non solo di aderire all’iniziativa radicale ma anche di impegnarmi per contribuire al suo successo. Dall’altro però non sono ancora riuscito a vincere la preoccupazione che questa iniziativa referendaria possa per un verso complicare l’iter parlamentare delle riforme e per altro verso essere politicamente strumentalizzata da parte di chi ha anche in maniera sotterranea interessi a minare la tenuta del governo Draghi. E non posso non rilevare gli elementi di forte ambiguità rilevabili nella condotta di Salvini, che con questo suo appoggio al referendum realizza lo stupefacente ossimoro di mettere insieme il suo vecchio sé stesso forcaiolo con un suo presunto nuovo sé stesso garantista. Se non sono sicuro della sincerità di Di Maio non lo sono neppure di quella di Salvini. Rispetto a quest’ultimo metterei in evidenza l’aggravante che lui tende a essere ‘carceromane’ quando si tratta di immigrati, mafiosi o criminali da strada mentre diventa  difensore dei diritti individuali quando sono coinvolti uomini politici o colletti bianchi che gli interessano”.

Lei è stato candidato con il Partito democratico qualche anno fa. Che effetto le fa leggere le sortite dell’attuale segretario del Pd Letta come quella che contrapponeva “giustizialisti” e “impunitisti”?

“Questi dubbi nei confronti di Di Maio e Salvini non mi impediscono affatto di manifestare il mio risalente punto di vista critico anche nei confronti del Pd, cioè un partito che per molti anni è stato filo-magistratura non sempre in maniera disinteressata perché ha più volte ceduto anch’esso alla tentazione di utilizzare le indagini giudiziarie contro avversari politici di turno, favorendo specie in passato forme di collateralismo politico da parte di settori progressisti della magistratura inclini a finalizzare l’azione penale a pregiudiziali obiettivi di rinnovamento politico. Aggiungo che il tradizionale popolo del Pd è stato anch’esso in maggioranza giustizialista e suppongo che lo sia tutt’ora, mentre le bandiere del garantismo sono state sempre innalzate da elitarie minoranze di suoi aderenti. Credo che lo stesso Letta abbia difficoltà a farsi finalmente portavoce di  un garantismo autentico che poi paradossalmente non costituisce altro che l’altro volto del costituzionalismo penale”.


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